Site icon Scribacchina.it

La Venere a Londra

Ovvero di come assistere a “Venus In Fur” con Natalie Dormer e David Oakes, sul palco del Royal Haymarket di Londra, sia un’esperienza trascendentale

 

Su questo palco, Oscar Wilde è stato applaudito per almeno un paio di capolavori: ecco il primo pensiero mentre cammino sulla moquette della platea e prendo posto. Così, una sera di ottobre, è arrivato il momento di assistere al debutto della commedia Venus In Fur con Natalie Dormer e David Oakes, in scena al Royal Haymarket di Londra, nel cuore dello Strand.
Dentro di me, una fanfara di putti in festa sta scolpendo nel marmo la gioia pura per essere testimone dell’evento.

 

Un passo indietro: dove nasce la “Venere in pelliccia”

Il soggetto della pièce non è qualcosa di ordinario, anzi: affonda le radici in un passato non proprio recente e resiste più o meno inossidabile nei secoli. Per trovare le sue origini, è necessario scorrere i dorsi dei libri fino ad arrivare all’opera dell’austriaco Leopold von Sacher-Masoch che, nel 1870, pubblica Venus im Pelz (appunto, Venere in pelliccia).
E qualcosa nel nome dell’autore porta a una considerazione che esce dalla letteratura. Qualche anno più tardi, è infatti lo psichiatra Richard von Kraft-Ebing a coniare il termine masochismo. Lo si può leggere per la prima volta nel volume Psychopathia Sexualis, dove il medico parla di quella che viene definita, a grandi linee, l’ossessione alla sottomissione. Il nome è mutuato dall’opera letteraria del conterraneo, prendendo come riferimento proprio il soggetto del libro prima citato.
La storia, densa di riferimenti autobiografici, crea, nemmeno a dirlo, scandalo: al centro dell’opera, per l’appunto, una relazione di sottomissione tra un uomo e una donna. Le pagine di questo libro non sono rimaste certo a prendere polvere in una biblioteca, in quanto l’arte attinge da questa storia a pieni polmoni per generazioni. Solo per citare alcune ispirazioni nei diversi ambiti:

Appunto, il teatro: è David Ives a portare sul palco Sacher-Masoch con una commedia off-Broadway, ambientata nella moderna New York. Si racconta la storia di un registra e sceneggiatore e di un’attrice che ha un’audizione con lui: nel corso di tale audizione, si innesca una spirale tra teatro, letteratura e le passioni più nascoste dei due protagonisti.

 

Quando la la Venere arriva nello Strand

Oggi, la commedia approda a Londra e sono Natalie Dormer e David Oakes a portarla in scena, per la regia di Patrick Marber. ll curriculum dei due attori è di tutto rispetto: lei è recentemente stata la regina Margerie ne Il trono di spade, lui attualmente è Ernst di Saxe-Coburg in Victoria e, mi piace ricordarlo, ha vestito spesso e volentieri i panni del cattivo in diverse serie in costume (come ne I Borgia al fianco di Jeremy Irons). Il regista, Patrick Marber è parecchio presente tra teatro, televisione e cinema: sua ad esempio la sceneggiatura di Closer, prima sul palco e poi sul grande schermo.

Il primo impatto dalla platea dell’Haymarket è subito con un’opera d’arte, peraltro usata come segnalibro dal protagonista del libro stesso, Severin von Kushemski: la Venere allo specchio di Tiziano (quel Tiziano, Vecelio). Questo quadro della metà del 1500 racchiude tutti i canoni della bellezza rinascimentale espressi con nitidezza e luminosità: capelli dorati, labbra scarlatte, linee sinuose. Inoltre, mostra elementi classici, come la posa di statua romana della Venere, accanto a quelli più attuali, come il drappeggio del tessuto. Accanto a questa dualità tra antico e moderno, anche il riflesso del volto in uno specchio, dal quale la Venere sembra sbirciare direttamente chi osserva, genera da subito una relazione ambigua con lo spettatore.

 

La Venere all’Haymarket

Dall’inizio dello spettacolo e per oltre un’ora e mezza, la scena è riempita dai due unici protagonisti: da un lato, Thomas Novachek, interpretato da David Oakes, è alle prese con l’adattamento del romanzo di Sacher-Masoch per i palcoscenici newyorchesi e non ha ancora trovato l’attrice per il ruolo principale; dall’altro, annunciata da un tuono e da un lampo alla grande finestra che occupa tutta la scenografia, fa il suo ingresso travolgente Vanda Jordan, interpretata da Natalie Dormer, col suo accento newyorchese e strizzata, sotto all’impermeabile, da un corsetto di pelle nera. È proprio la metamorfosi della Dormer, da queen BDSM ad aristocratica d’altri tempi ad impressionare, a un livello sia linguistico sia gestuale, invadendo la scena.
Più si prosegue nella commedia, e più i due si addentrano nella lettura del copione, più la realtà scenica si confonde con quella del libro di Sacher-Masoch. Entrambi i personaggi dimenticano la propria realtà narrativa e si trasformano in quelli raccontati del libro, in un susseguirsi, se non in una guerra tra generi, in una danza tormentosa che poggia su archetipi della letteratura, su un’indagine psicologia ante-literam e sui desideri più nascosti, tra lo sfavillare di Natalie Dormer e l’intensità di David Oakes.
Compaiono persino gli shiny boots of leather cantati dai Velvet Underground, quando Oakes calza gli stivali di pelle nera alla Dormer. Da questo momento, la spirale è avvolgente: letteratura, copione, meta-realtà e finzione sono avvolti su se stessi fino a che, con un tuono proprio come all’inizio dello spettacolo, le luci non si spengono all’improvviso, lasciando con mille dubbi e neanche un respiro.

È un teatro senza barriere, che prende le mosse dalla letteratura per farsi vivido, intercetta le influenze lasciate nel corso della storia dal soggetto che lo ha ispirato. E lo fa con due protagonisti di un’intensità unica.
Nota a margine, ma nemmeno troppo: si ride.

Il finale? Standing ovation e poi a piedi da Charing Cross a Bloomsbury per smaltire l’adrenalina.

 

A grande richiesta, qualche approfondimento:

 

Immagine in apertura dalla pagina Facebook di “Venus In Fur”,  di Tristram Kenton.

Exit mobile version