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Milano e il cinema: una mostra, un libro e un legame indissolubile

Modernità, inquietudine, ribellione: dalle visioni dei pionieri del cinema alla critica sociale dei grandi registi, dal neorealismo alla commedia popolare, il rapporto tra Milano e il cinema è straordinario. Oggi, lo raccontano un libro e una mostra.

È possibile descrivere il legame che, da sempre, unisce Milano e il cinema? Certo, con molta calma. La città è in prima fila già agli albori della settima arte con le manifatture cinematografiche, diventa ispirazione per i capolavori di grandi registi, contribuisce alla diffusione dei film d’autore con i cineclub degli anni Sessanta e Settanta e via dicendo: in poche parole, la sua unione con il cinema è indissolubile.

Raccontare una storia così lunga e intensa è un lavoro che definire monumentale sarebbe riduttivo. Ci provano però, negli ultimi tempi, una mostra e un libro. La prima, Milano e il cinema (con sede a Palazzo Morando), analizza il binomio dalle sperimentazioni d’inizio Novecento ai giorni nostri, passando per gli inseguimenti dei poliziotteschi, la commedia milanese di Renato Pozzetto e Diego Abatantuono, le pietre miliari dei grandi registi degli anni Cinquanta e Sessanta, tra fotografie, locandine e video con spezzoni dei film più significativi, spesso tutt’altro che conosciuti. La rassegna è curata da Stefano Galli, la stessa anima dietro a quella Milano e la mala che, lo scorso anno, ha raccontato la storia della città dalla rapina di Via Osoppo all’epopea di Vallanzasca, scandagliando cronaca, costume e società come nessuno prima di allora.
C’è poi, non certo in ordine di importanza, anche un libro dal titolo Il cinema racconta Milano, scritto da Marco Palazzini, Edoardo Veronesi Carbone e Mauro Raimondi, con una prefazione di Maurizio Nichetti. Due degli stessi autori sono presenti nel catalogo della mostra, con testi che parlano rispettivamente di un paio di aspetti che hanno lasciato una traccia indelebile nella cinematografia della città: la Milano della commedia e quella dell’inquietudine.
Proprio con Mauro Raimondi nasce un lungo dialogo, nel corso del quale  parlare di Milano, grandi autori e pellicole storiche conduce a un’unica affermazione: Milano È il cinema, no? Lo è sempre stata!

I film che raccontano Milano

Milano è stata innanzitutto fonte d’ispirazione per grandi autori: Luchino Visconti, ad esempio, la percorre in lungo e in largo per ritrovare quegli scorci teatrali che caratterizzano Rocco e i suoi fratelli (prendendo peraltro come riferimento le atmosfere del romanzo milanese Il ponte della Ghisolfa, di Giovanni Testori). La metropoli diventa quindi scenografia e, allo stesso tempo, espressione intensa di valori, sensazioni, sguardi critici sulla società, ma anche protagonista di immagini che raccontano le trasformazioni culturali e sociali di un intero paese. Di questo rapporto complesso e sfaccettato tra la città e il cinema ne sa qualcosa, per l’appunto, Mauro Raimondi, che ha messo tutto nero su bianco in un libro e con il quale abbiamo divagato parlando di quelli che sono, a tutti gli effetti, un paio dei nostri argomenti preferiti (per l’appunto, Milano e il cinema).

Quali sono i film che, nei vari decenni, hanno raccontato meglio Milano?

«Il primo documentario che racconta Milano è del 1929 e si chiama Stramilano, di Corrado D’Errico. Mostra una Milano moderna in quattordici minuti, raccontando la storia della città in una giornata. Fino agli anni Trenta, l’unico film ambientato a Milano è invece Gli uomini, che mascalzoni…, di Mario Camerini e con Vittorio De Sica, del 1932. Entrambe le pellicole danno l’idea della modernità di Milano come valore positivo, cosa che invece cambierà negli anni.
Diciamo subito che, come regista, se vuoi raccontare qualcosa di nuovo che succede in Italia, il tuo palcoscenico è Milano, l’emblema della modernità che passa da un valore assolutamente positivo, come prima della Seconda Guerra Mondiale, a un punto di vista molto più critico, soprattutto dagli anni Sessanta. Basta pensare a Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, il più bel film di quel periodo: negli anni Cinquanta, l’arrivo degli emigrati dal sud Italia viene vissuto attraverso le commedie, ad esempio con Totò e Peppino, mentre questo film spara sullo schermo la cruda realtà. Nel 1961, solo un anno dopo, arriva la crisi della borghesia e, nello stesso tempo, della coppia con La notte di Michelangelo Antonioni: in poche parole, due capisaldi di quello che sta succedendo in Italia sono entrambi ambientati in questa città. Tutti i registi importanti hanno girato a Milano, tranne uno: Federico Fellini.»

Nel secondo dopoguerra, emergono insomma quei temi che restano incredibilmente attuali: da un lato, l’incontrastata modernità di una città che si proietta nel futuro, la sua laboriosità frenetica; dall’altro, le difficoltà di integrazione, i problemi di una città dai tratti ostili e respingenti. Questa Milano contraddittoria, che si è appena risollevata dai bombardamenti, è ripresa in particolare da un film come Lo svitato di Carlo Lizzani, nel quale la figura di Dario Fo è immortalata in scorci di una città oggi perduta, testimonianza storica dal valore assoluto; ne Il posto, di Ermanno Olmi, sono invece ritratti i luoghi dei milanesi della classe lavoratrice, come le trattorie e le stazioni ferroviarie; arriva poi, come già accennato, La notte di Michelangelo Antonioni, con le ville borghesi della Brianza e le vedute sfavillanti, ma illusorie, di una città in decadenza.

Se vuoi girare la modernità, la giri a Milano – Mauro Raimondi

Gli anni del boom economico vedono anche il successo di un altro genere: il cinema industriale, sovvenzionato da realtà come EdisonVolta, Campari, Pirelli e Falck, solo per citarne alcune. Queste pellicole hanno un duplice obiettivo ben preciso:  accendere il senso d’identità tra dirigenti e dipendenti dell’azienda, ma anche consolidare il valore del brand verso consumatori e investitori. Entrambi concetti all’avanguardia, per una strategia comunicativa estremamente attuale. Grazie a questi film si documentano inoltre la ricerca tecnica e scientifica, si crea una vera e propria didattica dedicata alle diverse funzioni aziendali e alla formazione, si documentano le esperienze sociali (come le vacanze in colonia per i figli dei dipendenti o il dopolavoro) e si costruisce un vero e proprio archivio storico del marchio.

I pionieri del cinema sotto la Madonnina

Se la città guarda avanti nei contenuti e nei formati proposti, lo è anche nel contribuire alla nascita e allo sviluppo di quest’arte. Milano è all’avanguardia quando il cinema muove i primi passi: non è passato molto tempo dal 28 dicembre del 1895, debutto del cinematografo dei Lumière, che la città è presente tra i pionieri del cinema. Nell’anno seguente, nascono infatti Il finto storpio del castello e I tuffi ai bagni Diana a Porta Venezia, mentre è del 1901 la pellicola dedicata a I funerali di Giuseppe Verdi.

Molto prima di Cinecittà, la produzione cinematografica italiana vede Milano tra i protagonisti, vero?

«Prima della Prima Guerra Mondiale, le capitali sono Torino, Milano e Roma, seguite poi da Napoli. Di certo, gli industriali milanesi hanno molto investito e una delle case di produzione più importanti degli anni Dieci, tra i fondatori, vede il padre di un certo Luchino Visconti. Fino agli anni Venti, Milano è insomma una delle capitali del cinema italiano poi, sotto il Fascismo, tutto viene accentrato a Roma e anche gli investimenti cominciamo a diminuire.»

La film (sì, al femminile!) L’Inferno è un capolavoro del 1911, interamente girato a Milano e diretto da Francesco Bertolini, Giuseppe De Liguoro e Adolfo Padovan.

Tra gli imprenditori cinematografici più importanti, in questa fase pionieristica, Milano ricorda Italo Pacchioni e Luca Comerio. Quest’ultimo, in particolare, è una figura dalla storia tanto straordinaria quanto drammatica. Comerio è infatti un grande fotoreporter e regista: gira le immagini del terremoto di Messina, è autorizzato a documentare con le sue foto la vita dei soldati in trincea durante la Prima Guerra Mondiale, fotografa i combattimenti in Libia. Da regista, fonda le sue case di produzione e sforna chilometri di bobine, ma si trova ad affrontare la crisi del documentarismo italiano e la concorrenza dei film stranieri, soprattutto americani. In crisi professionale e umana, alla fine degli anni Trenta scrive persino al Duce con la richiesta di un lavoro, ma il tentativo è inutile: l’appello è ignorato e Comerio muore, abbandonato da tutti, in manicomio.
Nella sua vita, questo personaggio compie tuttavia un atto che segnerà profondamente Milano, anche da un punto di vista topografico: nel 1909, vicino allo scalo ferroviario di Turro, Comerio costruisce i più grandi e attrezzati stabilimenti cinematografici del mondo che, per diversi anni, danno a Milano il primato incontrastato di capitale del cinema.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, sono invece gli stabilimenti ICET che vedono susseguirsi grandi nomi tra i propri studi: qualche esempio? Luigi Comencini, Dino Risi, Michelangelo Antonioni, Vittorio De Sica.
Per la cronaca, questi stabilimenti sono ceduti alla famiglia Corti, la stessa che acquista i terreni di Cologno Monzese per la costruzione di nuovi teatri di posa che, dal 1983, cambieranno proprietà per ospitare la neonata Fininvest di Silvio Berlusconi.

Milano e il cinema: moderna, inquieta, splendida e contrastante

Se Milano è il riflesso della storia di ogni epoca, dalla metà degli anni Sessanta e per tutti i Settanta l’inquietudine diventa estrema, la critica sociale aspra e la violenza irrompe sul grande schermo.
Basta ricordare inseguimenti e sparatorie dei poliziotteschi, come Banditi a Milano e Milano calibro 9, solo per citare un paio di titoli. Del resto, la cronaca più efferata invade quotidiani e telegiornali e il cinema non si tira indietro. Con I cannibali, Liliana Cavani mostra poi una città apocalittica e tragica, una Milano nelle cui strade rinasce l’Antigone di Sofocle.
Di contro, con gli anni Ottanta ritorna la commedia milanese, il cui fulcro è un luogo fisico, fucina di talenti, ritrovo di musicisti e cabarettisti, laboratorio di nuovi linguaggi e ispirazioni: il Derby Club, il cui catalogo di artisti che si sono avvicendati sul suo palco è pressoché infinito.

Come città di modernità e contraddizione, penso sempre all’arrivo di Renato Pozzetto ne “Il ragazzo di campagna”, che è emblematico in questo senso. A proposito, cosa possiamo dire della commedia?

«A un certo punto ci siamo chiesti se esistesse una commedia alla milanese. Renato Pozzetto, ad esempio è la prima maschera della commedia popolare milanese, cioè colui che arriva in città, è un po’ imbranato, parte sempre sottostimato e poi, alla fine, vince. Ci sono due filoni che abbiamo individuato e che fanno riferimento principalmente agli anni Ottanta, quando molti film sono stati ambientati a Milano e numerosi attori e registi hanno fatto riferimento alla città. C’è la commedia popolare di Renato Pozzetto, Diego Abatantuono, Aldo, Giovanni e Giacomo, e la commedia d’autore, con Maurizio Nichetti, Gabriele Salvatores e Antonio Albanese che non solo fanno ridere, ma interpretano le inquietudini metropolitane.»

Cosa possiamo dire a proposito di Milano e il cinema da un punto di vista più critico e inquieto?

«Silvio Soldini, nel 1990, gira L’aria serena dell’Ovest e mette fortemente in discussione Milano, sottolineandone appunto l’inquietudine. Una regista che ha seguito questo filone è ad esempio Marina Spada con Il mio domani e Come l’ombra. Questo filone si riconduce sia al discorso di Antonioni sia al fatto che, quando vuoi mettere in scena qualcosa all’avanguardia, metti in scena Milano, anche da un punto di vista molto critico. Se ci pensi, quando Soldini ha voluto toccare delle corde più leggere, è andato da altre parti, ad esempio con Pane e tulipani ha girato a Venezia. Del resto, con Milano tocchi delle corde particolari: con L’aria serena dell’Ovest si racconta della caduta del Muro di Berlino, di piazza Tienanmen e, nel frattempo, della crisi di quattro personaggi che in realtà è la crisi di Milano stessa. Tra l’altro, la fotografia è di Luca Bigazzi, uno dei grandi direttori della fotografia di Milano, come era stato Lamberto Caimi per Ermanno Olmi, ad esempio. Anche in Fame chimica di Paolo Vari e Antonio Bocola emergono tutte le contraddizioni della città nell’amicizia tra due ragazzi ed è girato nella periferia milanese.»

Milano e il cinema oggi

Negli ultimi anni, la città è cambiata in modo incredibile: moderna ma ancora piena di contraddizioni, la città vive un cambiamento che si percepisce ed è tangibile ma che, forse, ancora non è ancora sedimentato e soprattutto teorizzato. I suoi grandi interpreti, come Visconti o Antonioni, non ci sono più, ma dei messaggi positivi sono stati lanciati negli ultimi anni, ad esempio da Salvatores: questo cambiamento deve essere interpretato da qualcuno. Il tutto considerando che questi ultimi anni rappresentano un momento molto bello per Milano e urge che qualcuno ne afferri e fissi su pellicola (sì, ormai è digitale) il senso.

Chi interpreta la Milano di adesso?

«Salvatores fa un gruppo di commedie in cui Milano è aspramente criticata: in Marrakech Express la si vede per dieci minuti ma è grigia, rappresentata dal cavalcavia della Ghisolfa, e compare proprio parlando di fuga dalla città. Con Puerto Escondido, il regista prende un libro di Pino Cacucci e lo ambienta a Milano proprio per criticare la società post-industriale e globalizzata. Adesso, con Happy family, Milano è molto diversa dalle altre commedie, ha i colori pastello e abbandonato il grigio. Soldini invece gira Cosa voglio di più e Milano resta un po’ come sfondo.
Di sicuro, la Milano di adesso non è più quella del Duomo o del Castello, ma dei grattacieli di Porta Nuova. Gli ultimi film hanno sempre degli squarci qui: Gli sdraiati e L’assoluto presente finiscono sempre per fare delle inquadrature su questi grattacieli in costruzione o finiti.
Potremmo dire che, oggi, continua un po’ il filone degli anni passati: l’unica città veramente moderna, con tutte le contraddizioni, è Milano, ma sta cambiando. Forse anche per questo di interpreti che parlino dei nuovi valori di Milano attualmente non ce ne sono: il rilancio della città che c’è stato dall’Expo in poi non c’è ancora sul grande schermo, ma già il fatto che un registra come Salvatores la disegni in un modo tanto diverso è un segno. La nuova città non è ancora facile da interpretare.»

È una metropoli frenetica, mutevole, dalle contraddizioni spesso stridenti, simbolo incontrastato di modernità così come incarnazione dell’inquietudine: come cantano gli Afterhours, forse Milano non è la verità, ma proprio viverla attraverso gli occhi della cinepresa è uno dei modi migliori per indagare sogni, inquietudini e speranze di generazioni.
Milano e il cinema rappresentano tutto questo: una riflessione sulla vita vera.

Si diceva di una mostra e di un libro, giusto? Eccoli:

  • La mostra Milano e il cinema si tiene a Palazzo Morando, via Sant’Andrea 6 (Milano),  dall’8 novembre 2018 al 10 febbraio 2019.
  • Il cinema racconta Milano è di Marco Palazzini, Mauro Raimondi, Edoardo Veronesi Carbone (ed. Unicopli).

In apertura: Dario Fo e Franca Rame durante la lavorazione del film Lo svitato di Carlo Lizzani in Piazza Mercanti (Milano, 07/12/1955) ©ArchiviFarabola. Nell’articolo: l’esterno del Cinema Excelsior con il cartellone del film La polizia incrimina, la legge assolve con Franco Nero (Milano, 06/09/1973) ©ArchiviFarabola; Fotobusta del film Totò, Peppino e la… malafemmina.
Un grazie all’Ufficio Stampa del Comune di Milano, a Palazzo Morando, CLP Relazioni Pubbliche e, last but not least, Mauro Raimondi.

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