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Ingres, il classico rivoluzionario

A Milano, la mostra Ingres e la vita artistica ai tempi di Napoleone è il ritorno in città del pittore che ha influenzato le avanguardie.

È sempre un piacere rivederti, Ingres. La prima volta, se non sbaglio, ci trovavamo al Louvre di Parigi, l’ultima al V&A di Londra, giusto un paio degli innumerevoli musei in cui sono disseminate le tue opere.
Ora, caro il mio Jean-Auguste-Dominique, sei tornato a Milano e in grande stile, con una sessantina tra tele e disegni che portano la tua firma, accanto a centinaia di lavori realizzati da contemporanei. Ed è significativo questo ritorno in città, in una Milano influenzata non poco da colui che nella vita di Ingres, uomo e artista, ha un ruolo fondamentale: Napoleone Bonaparte.
Per quest’ultimo però ci sarà tempo più tardi.

La rivoluzione di Ingres

Ingres è spesso definito rivoluzionario, figlio del proprio secolo e allo stesso tempo unico nel suo genere. Per questo mi piace, perché inafferrabile e non ascrivibile a un genere, a un tempo; in bilico tra il gusto lucido e nitido per il reale e un’espressività senza limiti, che sfuma nell’espressionismo.
Se apparentemente le sue opere richiamano il gusto classico di fine ‘700, Ingres infonde una forza vitale e uno stile del tutto originale alle sue creazioni. Erede di Raffaello, che venera fino a diventarne ossessionato, è infatti precursore delle moderne avanguardie: Picasso incappa nel suo Bagno turco durante una retrospettiva del 1905 e prende ispirazione per Les demoiselles d’Avignon, Degas copia le sue opere minuziosamente, Renoir si immerge in un periodo cosiddetto ingresiano, il post impressionismo di Cézanne attinge alla sua lezione. L’essere neoclassico di Ingres non lo rende monolitico, anzi accoglie una vitalità che si esprime particolarmente nei ritratti, catturando e plasmando sulla tela dettagli, sguardi, l’anima stessa del protagonista, come nel suo Portrait of Jean-Pierre-Francois Gilibert, incompleto eppure straordinario nella potenza espressiva.

L’artista inafferrabile

Tra i grandi, Charles Baudelaire lo definisce un eteroclito, Théophile Gautier un eclettico, proprio come sfaccettato e complesso è stato il suo tempo. Purezza delle forme ed esaltazione dell’eroico non esauriscono il neoclassicismo, definizione peraltro coniata nel XIX secolo e non senza un certo disprezzo per il passato. Dopo la Rivoluzione Francese, sensualità e tenebra irrompono nell’arte, incrinando perfezione eroica e ispirazioni epiche; la libertà è anche di genere, con uno slancio ritrovato delle donne pittrici che non si limitano più solo al ritratto e che anzi introducono innovazioni in formati, temi e soggetti. La carica del romanticismo è più vicina di quanto si pensi.
In quanto a Ingres, secondo George Vigne, “non sempre il suo pennello seguiva ciò che la sua bocca pronunciava”: se da un lato preferisce la predominanza della linea sul colore, temi legati ad antichità classica e Medioevo, non nasconde una diffidenza verso gli impeti rivoluzionari di Delacorix, ma si apre anche a temi già romantici e atmosfere esotiche.
Tra le opere presenti a Milano, Il sogno di Ossian si impone per dimensioni, volumi e modernità: è il quadro che Napoleone vuole nella sua camera da letto al Quirinale, mentre i I canti di Ossian, ai quali è ispirato, se li porta sempre in battaglia.
Eccolo, Napoleone.

Bonaparte arriva in Italia venerato e celebrato come Marte, sconfiggendo gli austriaci e sigillando la vittoria a Campoformio, tuttavia ben presto le cose cambiano. Da liberatore atteso e osannato a despota straniero il passo è abbastanza breve (compresi fattori come la circoscrizione obbligatoria e un aumento delle tasse a far calare la simpatia verso di lui). Fatto sta che, il 26 maggio del 1805, proprio nel Duomo di Milano, la corona di re d’Italia si posa sulla sua testa con la frase, a lui attribuita in questa occasione, “Dio me l’ha data, guai a chi la tocca”. Passano un paio di settimane prima che il sovrano dichiari la sua volontà di francesizzare la penisola e questo non deve stupire: l’arte, del resto, è strumento politico e i grandi principi, per dirla come Machiavelli, lo sanno (o sapevano) bene.
Nel periodo napoleonico, Milano, seconda capitale d’europa dopo Parigi, diventa fulcro della cultura: la città si riempie di nuove architetture, biblioteche e musei, come la Pinacoteca di Brera. Tra gli italiani, emergono i nomi monolitici di Antonio Canova, senza dimenticare il milanese Andrea Appiani. Già nel titolo, la mostra Ingres e la vita artistica al tempo di Napoleone evidenzia quella che è stata per Milano una stagione particolarmente fiorente: la città viene rimodernata, arrivano spazi verdi, sono costruite nuove infrastrutture e non va dimenticato il mecenatismo. Giovanni Battista Sommariva, definito da Francis Haskell “il mecenate indubbiamente più importante dopo l’imperatore e la sua famiglia”, trova un suo spazio nella mostra, il suo ritratto accanto a un modello in gesso della Maddalena penitente di Canova e a un dipinto del figlio, con l’uniforme da ussaro, una mia vecchia conoscenza di solito chiusa in una sala del Museo del Risorgimento.

Questo è il periodo che, dall’oscurità post rivoluzionaria ai fasti imperiali, si mostra più sfaccettato di quanto possa apparire a un’analisi superficiale, complesso, violento, che lascia testimonianze tanto dissimili, in grado di influenzare almeno un paio di secoli. E questo è stato Ingres, in grado di raccogliere la tradizione, immergersi nella modernità e spingersi oltre, verso un futuro ancora da tracciare.

Postilla: uno dei quadri più celebri di Ingres, Napoleone sul trono imperiale del 1806, viene investito da critiche negative e ritirato dall’edizione del Salon parigino di quell’anno. Bisogna attendere il 1832 perché venga riesposto all’Hotel des Invalides e cominci il suo percorso di rivalutazione (oggi è al Musée de l’Armée).

La mostra Jean Auguste Dominique Ingres e la vita artistica al tempo di Napoleone è Palazzo Reale di Milano dal 12 marzo al 23 giugno 2019.

Immagine in apertura “Napoleone sul trono imperiale” (1806); nella pagina “Il sogno di Ossian” (1813).

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