80 anni fa, esordiva nel ciclismo a Castellania, sua città natale: proprio lì, sorge oggi la Casa Museo Fausto Coppi, un luogo da visitare, una volta (o più) nella vita
La strada è polverosa e il percorso tortuoso. La gara sta per iniziare: si parte da Castellania per scendere verso Sarezzano, proseguire poi alla volta di Tortona e, da qui, girare a sud e costeggiare lo Scrivia in direzione Villarvernia, per tornare poi al punto di partenza.
Per il giovane Fausto Coppi, nemmeno diciottenne, il 1° luglio del 1937 rappresenta l’esordio in una corsa ciclistica professionista: i muscoli sono tesi, i piedi incollati ai pedali mentre sfreccia tra i tornanti, più forte dei suoi rivali.
Così inizia una delle leggende più longeve e coinvolgenti del ciclismo e dello sport intero: oggi, a distanza di 80 anni, è il giorno perfetto per tornare negli stessi luoghi e rivivere gli insegnamenti di una grande storia, quella di un uomo e di uno sportivo che ha saputo andare oltre i propri limiti.
Oltre gli incidenti di percorso
Quando Fausto Coppi disputa la sua prima gara ufficiale, sul circuito della Boffalora, le cose non sono in realtà tanto epiche quanto ci si aspetterebbe: inaspettatamente fora ed pertanto costretto a ritirarsi. Ovviamente, ed è facile considerarlo a posteriori, questo non è bastato a fermare la nascita di un mito.
Oggi, proprio a Castellania, in provincia di Alessandria, nella stessa dimora dove il campione nasce, trascorre la sua giovinezza e si prepara al suo debutto ciclistico, sorge la Casa Museo Fausto Coppi.
Raggiungerla è di per sé catartico: per arrivare al borgo piemontese, nemmeno un centinaio di abitanti nelle sparute case, si attraversano i colli tortonesi, nelle stesse giornate accecate dal sole oppure strette nella nebbia che lo stesso Coppi ha sicuramente affrontato. Questo paesaggio incantevole, ma nondimeno duro e spesso impervio, sbatte in faccia sin da subito quanta forza e quanta tenacia albergasse in uno degli sportivi più leggendari di sempre.
La casa è situata proprio all’ingresso del paese e tutti e tre i piani sono aperti al pubblico, accogliendo ogni visitatore, appassionato o neofita che sia, nell’universo di un campione indelebile dalle pagine di storia sportiva e culturale di un intero Paese (e non solo).
Appena superato l’ingresso, al piano terra, una bicicletta di Fausto e una di Serse, il fratello, accolgono da subito chiunque. Gli ambienti sono stati perfettamente conservati, con intonacatura in verderame, mobili originali e diverse mostre che si alternano nell’illustrare la vita e le vittorie di Coppi.
E la prima curiosità sopraggiunge già nel sottoscala: proprio qui un giovane Fausto è solito allenarsi, poggiando la bicicletta su dei ceppi e reggendosi con le braccia a una ringhiera e a una parete (una sorta di cyclette fatta in casa). Sempre in questi ambienti, nel salotto, è presente anche una delle prime tv mai prodotte, vinta da Fausto quando in Italia le trasmissioni non sono ancora nemmeno attive. E proprio in questa sala pare che, con l’appoggio dello zio, Coppi abbia deciso di non lavorare più come garzone per la salumeria di Domenico Merlano, a Novi Ligure, ma di iniziare la sua carriera di ciclista.
Quelli, tuttavia, non sono anni facili per l’Italia.
Oltre la guerra
È il 1939 quando Fausto Coppi firma lo storico contratto con la Legnano e, appena un anno dopo, indossa già la prima Maglia Rosa, conquistata il 9 giugno 1940: una data tutt’altro che irrilevante, dato che è la vigilia dell’ingresso italiano nel Secondo Conflitto Mondiale.
Nonostante questo tempismo poco favorevole, il campione non viene subito chiamato alle armi, anzi: vince. A dirla tutta, compie persino un’impresa straordinaria: con una sola settimana di allenamento, si mette in pista al velodromo Vigorelli di Milano, fila come una scheggia e infrange il record dell’ora con 45.798 km.
Nonostante i meriti sportivi, la chiamata alle armi tuttavia arriva. Nel corso del conflitto, viene persino catturato dagli inglesi in Tunisia e la sua prigionia lo porterà sino ad Algeri.
Quando Coppi torna dalla guerra, rimonta però in sella e non solo: diventa un simbolo. Quel Fausto Coppi rappresenta un’Italia che si rialza dall’orrore e si lancia nel futuro, mai così brillante come allora e il simbolo brilla della lucentezza di premi e medaglie. Il 19 marzo 1946, alla ripresa delle gare dopo il conflitto, vince la Milano-Sanremo con una fuga in solitaria di oltre 150 km e un quarto d’ora circa di stacco sul secondo classificato. In quell’occasione, il radiocronista Niccolò Carosio, non sapendo in quale altro modo reggere una diretta radiofonica tanto lunga, annuncia che sarebbe stata trasmessa “musica da ballo” fino al sopraggiungere del secondo in classifica.
Il giorno seguente, La Gazzetta dello Sport gli dedica una delle numerose storiche copertine, che titola:
Fausto Coppi non vede più nessuno dal Turchino a Sanremo e piega alla sua volontà indomita ogni ostacolo della corsa sfinge
— La Gazzetta dello Sport, 19 marzo 1946
Oltre i media
A proposito di giornali, continuando la visita a Casa Coppi e salendo su per le scale, ci si trova al cospetto di una rassegna di copertine di quotidiani e riviste d’epoca, da La Domenica del Corriere a Lo Sport Illustrato: nei primi anni ‘40 iniziano infatti le clamorose vittorie, interrotte dalla guerra e subito riprese al termine del conflitto. Lunghi articoli, clamorosi titoli, illustrazioni e fotografie non possono che testimoniare un’ascesa senza pari, raccontando peraltro quello che era lo sport più amato e sentito dall’Italia intera (si vocifera molto più del calcio stesso!).
Un altro giornale sportivo citato poco fa, La Gazzetta, è molto legato alla storia di Fausto Coppi, tanto da aver contribuito al recupero della casa e all’installazione delle mostre. Al piano superiore, è infatti presente una raccolta delle 88 prime pagine a lui dedicate, in formato monumentale e che è possibile consultare e leggere una ad una. Proprio lì accanto, sono presenti anche una bicicletta realizzata interamente con la carta rosa del giornale (che pesa poco più di 200 grammi) dall’artista Mauro Giuntini, e un biciclo costruito nel 1896, anno di fondazione della testata, appartenuto al Cav. Tarcisio Persegona di Carrosio.
Ma c’è anche un’altra sala, quella dedicata al quotidiano sportivo piemontese Tuttosport, che ha visto in particolare due firme seguire Fausto Coppi durante la carriera: Raro e Carlin. In questa stanza è conservata una Legnano degli anni ’40 appartenuta al campione, insieme alla prima bici brandizzata Fausto Coppi realizzata dalla Fiorelli di Novi Ligure.
Nel dopoguerra, insomma, la consacrazione di Coppi incide il suo nome a chiare lettere nell’immaginario collettivo: l’eterno dualismo con Gino Bartali, la sequela di vittorie, gli infortuni e le squalifiche, per apprdodare al 1949 con la Cuneo-Pinerolo, terz’ultima tappa del Giro d’Italia che vede una fuga in solitaria di coppi di 192 km e una radiocronaca che si apre così:
Un uomo solo è al comando; la sua maglia è biancoceleste; il suo nome è Fausto Coppi
— Mario Ferretti (Cuneo-Pinerolo, 10 giugno 1949)
Oltre il mito
A fronte di tutta questa cronaca ed esaltazione, le iperboli si sprecano, aggettivi come soprannaturale non si contano. In realtà, al di là dell’aurea mitologica che lo avvolge, ci sono delle precise caratteristiche da considerare di Fausto Coppi: ha un fisico adatto al ciclismo come mai è stato rilevato prima, come ad esempio polmoni capaci, resistenza cardiaca, gambe lunghe, muscoli elastici. Tratti peculiari intuiti alla perfezione da un maestro del giornalismo, che lo definisce:
Una invenzione della natura per completare il modestissimo estro meccanico della bicicletta.
— Gianni Brera
Del resto, non a caso è soprannominato l’Airone di Castellania. Le doti fisiche tuttavia non bastano: dieta, allenamento, morigeratezza fanno parte di quella che può essere definita una vera e propria etica ciclistica di Coppi. Una disciplina che si completa con una attenzione meticolosa al miglioramento meccanico del mezzo: telaio, sellino, pedali, occhiali, scarpe e via dicendo sono tutti oggetto di costante revisione e rigorosa calibrazione verso la vittoria, niente è lasciato al caso, non un respiro e non uno scatto.
Inoltre non va dimenticato il lavoro con il team, gli scudieri, i tecnici, meccanici e preparatori come Biagio Cavanna, massaggiatore cieco che lo segue per tutta una vita, dalle prime pedalate agonistiche sino all’ultima gara, e al quale è dedicata un’intera sala della Casa Museo Coppi.
Oltre la morte
Se non sono stati gli incidenti, una guerra, gli scandali a fermare Fausto Coppi, ce l’ha fatta lei: una zanzara. Il campione si spegne infatti nel gennaio del 1960 a causa di una forma di malaria non diagnosticata e, quando la notizia raggiunge il popolo, l’Italia intera si ferma in lacrime.
Eppure questa brusca fine non intacca una leggenda che è nata e si è costantemente rinnovata durante la vita e la, seppur breve, carriera del campione, in un ventennio di trasformazioni radicali e con le vette e le cadute che ogni eroe affronta nel suo percorso.
Fu, a suo modo, un triste eroe, il melanconico eroe popolare del ciclismo, lo sport più vicino al popolo fino agli anni sessanta.
— Giorgio Bocca
Forse è per tutto questo che Fausto Coppi ha simboleggiato la forza e il successo assoluti, quantomeno in un’epoca in cui gli stessi sono considerati valori straordinari, quando l’essere eleva l’uomo e non tanto il possedere. Fausto Coppi ha fatto e continua a far sognare, superando il confine tra storia e leggenda perché è andato oltre i limiti ma, e forse soprattutto, perché lo ha fatto da uomo, un uomo come tanti, venuto da un piccolo paese di provincia dei quali l’Italia è costellata e suggellando il proprio talento a suon di traguardi.
E forse è questo ciò che importa, non da dove vieni o da ciò che fai, ma l’impegno con cui tutto ciò che ti anima è portato avanti e dal rispetto per chi incontri sul tuo cammino, così tanto da passare una borraccia d’acqua al tuo acerrimo rivale (ma poi, chi la passò a chi quella borraccia famosa?!).
Nel ripercorrere, attraverso le immagini, le cronache, le testimonianze, la sua epoca e la sua vicenda, ci sembra che il tempo si annulli e che Coppi non appartenga a nessun oggi, ieri o domani, ma sia ormai consacrato a restare un’emozione eternamente viva.
— Candido Cannavò, La Gazzetta 1990
Su Facebook è possibile trovare la pagina ufficiale di Casa Coppi e rimanere aggiornati con iniziative e progetti.
In apertura, il murales dedicato all’Airone di Castellania e ideato dall’illustratore Riccardo Guasco: è ben visibile sull’ultimo chilometro della strada che conduce alla casa del campione.
Un ringraziamento a Manuela per la visita guidata nel torrido pomeriggio dell’11 giugno 2017.
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