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La prima mostra fotografica dei maestri del Novecento, Magnum’s First, sbarca a Milano ed è più attuale che mai.

D elle casse di legno dimenticate in uno scantinato a Innsbruck per oltre mezzo secolo: la storia della mostra Magnum’s First inizia qui, tra la polvere del tempo e un odore stantio. È il 2006 quando avviene la scoperta: in quelle quelle casse sono infatti custodite decine di fotografie in bianco e nero, realizzate negli anni ‘40 e ’50, insieme a pannelli colorati utilizzati per l’esposizione, indicazioni per l’allestimento, un documento di presentazione, la locandina originale e, soprattutto, le didascalie con i nomi degli autori. Quelle stampe non sono opera di fotografi qualsiasi: portano la firma dei fondatori dell’agenzia Magnum Photos e rappresentano la prima mostra realizzata dall’agenzia, permeata da un alone di mistero.

Nei Chiostri di Sant’Eustorgio, le foto di Magnum’s First .

Oggi, le 83 stampe ritrovate sono nei Chiostri di Sant’Eustorgio del Museo Diocesano di Milano, dove la mostra Magnum’s First raccoglie le fotografie scattate da otto maestri del reportage quali Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, Werner Bischof, Inge Morath, Erich Lessing, Marc Riboud, Jean Marquis ed Ernst Haas.
La Magnum è gruppo di professionisti eterogeneo, composto da fotografi provenienti da ogni parte del mondo e non solo: è la prima agenzia in cui il fotografo è al centro di tutto, una rivoluzione copernicana che poggia le basi su una tutela professionale e legale, con risultati artistici di notevole rilievo. I membri detengono la proprietà dei negativi, fatto inedito per l’epoca, e controllano l’intero arco della vita di ogni scatto: dalla cessione all’impaginazione, senza trascurare la compilazione delle didascalie. In questo modo, il ruolo del fotografo o, per meglio dire, del fotoreporter, è centrale, lo status del reportage fotografico giornalistico elevato. I fotoreporter Magnum sono immersi nel mondo, testimoni attivi di quotidianità e attimi di storia, che riportano allo sguardo dell’osservatore, i loro scatti sono prova tangibile degli avvenimenti nel mondo e fonte primaria di informazione e conoscenza. Sono così immersi nella storia contemporanea che lo stesso ideatore, Robert Capa, muore tragicamente in Indocina, saltando su una mina.
Già, Capa: nel maggio del 1947, traendo linfa vitale da una sua idea, nasce ufficialmente il gruppo, a oggi una società in forma cooperativa. Il nome è Magnum, come la bottiglia ordinata dai fondatori al ristorante del Moma di New York durante i loro incontri, con quell’aura latina a conferire una certa solennità.

La prima mostra dei fotografi della Magnum

La prima mostra della Magnum si chiama Gesicht Der Zeit (letteralmente, Il volto del tempo) e si tiene in cinque città austriache tra il 1955 e il 1956. Proprio in Austria, queste stampe finiscono sigillate nel buio, per essere ritrovate mezzo secolo più tardi. Qui, nella sala del Museo Diocesano, ad accogliere i visitatori è proprio uno dei bauli riemersi dall’oblio austriaco, con ancora il dattiloscritto pieno di nomi e indicazioni attaccato al suo interno.

Ciò che trovammo nelle casse era, a dir poco, sorprendente: una serie di vecchi pannelli di legno su cui erano montate delle fotografie molto sporche. Perciò, il mio primo contatto con la vecchia mostra somigliava più alla scoperta di una mummia che a quella di un tesoro. I materiali erano in pessime condizioni: le foto erano ricoperte di polvere, sporco e muffa, e avevano perfino un odore di stantio!
La mostra è un rompicapo, un mistero, e rimane la prima mostra in assoluto di foto Magnum di cui si abbia notizia! La sua esistenza è la prova che, sin dall’inizio, la Magnum era diversa dalle altre agenzie fotografiche. Dagli esordi, con il programma di mostre ed eventi, la Magnum difendeva sia il valore della foto come documento.

— Andrea Holzherr, curatrice di Magnum’s First

Il ritrovamento delle foto di Magnum’s First non ha solo un valore storico e documentario unico, ma riporta l’attenzione all’attualità, con il ruolo di foto e videoreporter nel nostro tempo, in un’epoca dove la fruizione e produzione di contenuti è tema principale per chi si occupa di informazione, così come la durata del ciclo di vita di una notizia. Oltre tutto questo, rivedere originali di grandi talenti è un’occasione unica.

I fotografi della Magnum

Primo protagonista della mostra è proprio lui, il baule che ha custodito questi scatti e che è circondato dall’allestimento, aperto, svuotato dal suo contenuto che ora è collocato sulle pareti.
Ecco gli scatti di Robert Capa e si nota subito che i reportage di guerra, quelli che gli hanno valso la fama, sono un ricordo. In occasione della mostra, già negli anni ’50, le sue foto sono infatti esposte postume e qui sono protagonisti gli scatti di una festa basca a Biarritz. Un segno, un’evocazione di armonia e testimonianza di ritorno alla pace in una zona dilaniata dal conflitto che il fotografo stesso ha vissuto e documentato.

La pace ritorna nelle diciotto fotografie di Henri Cartier-Bresson, che hanno per protagonista il Mahatma Gandhi nel corso dei suoi ultimi giorni, in uno sguardo intimo, per poi documentare il funerale da un occhio, anzi da un obiettivo, del tutto privilegiato. Questo servizio è stato pubblicato su Life nel 1948 e rivive ora qui.
Ci sono altri sei reportage che compongono la mostra, come quello di Jean Marquis, con le foto scattate in Ungheria durante un viaggio con la moglie. Paesaggi e volti magiari, scene che catturano la vita di quei luoghi con un guizzo preciso, sono state pubblicate sul New York Times Magazine. Viaggia nell’Europa orientale anche Marc Riboud, poco prima del suo ingresso nell’agenzia, e si sofferma a Dubrovnik, Spalato e Vrilika. In particolare, lascia basiti per la sua forza la foto del ritratto di Tito che viene ritirato dopo un evento pubblico: vista con gli occhi di oggi, un presagio del futuro.
Si spinge invece più lontano Werner Bischof e raccoglie le suggestioni di un viaggio intorno al mondo, come nella quiete cristallina del tempio shintoista o della leggerezza del bambino peruviano che suona il flauto.
Sono invece in bilico tra reale e fantastico le foto di scena di Ernst Haas, dal set del kolossal hollywoodiano La regina delle Piramidi , girato nelle cave di Assuan nel 1955. Migliaia di comparse musulmane lavorano in tempo di ramadam e la macchina fotografica, tra luce accecante e ombre sfumate, cattura la fatica di quei giorni.
Si torna poi in terra europea con Erich Lessing, che ha documentato con uno sguardo del tutto personale l’occupazione nazista della sua Vienna: nonostante il conflitto, nelle sue foto traspare la spinta alla vita dei viennesi, che sciamano nei luoghi cuore della capitale. E finalmente arriva lei, unica donna del gruppo: le dieci fotografie di Inge Morath sono scattate a Londra per un numero della rivista Holiday nel 1953. Eleganza, struttura, nitidezza sono i tratti distintivi che emergono anche nel suo scatto più celebre, il ritratto di Lady Nash.

A dirla tutta, c’è un’altra donna fondamentale il cui spirito, in qualche modo, permea la Magnum. Per parlare di lei si torna a Robert Capa, pseudonimo usato da Endre Ernő Friedmann e dalla sua compagna, Gerda Taro. I due inventano il personaggio di Robert Capa, che utilizzano per firmare i lavori di entrambi, ispirandosi all’assonanaza con il nome del regista Frank Capra, durante la guerra civile spagnola. E, proprio in Spagna, la vita di Gerda è spezzata in modo tragico. Ma questa, per quanto affascinante, è un’altra storia: oggi, tra queste foto, quotidiano ed eccezionale si intrecciano nelle sfumature di bianco e nero, più vivi e attuali che mai.

In apertura: Robert Capa, WikiCommons.

Samantha Colombo

Sono un'entusiasta delle parole per professione, etnomusicologa di formazione: scrivo, su carta e online, aiuto le persone a esprimersi attraverso la scrittura e navigo serena nella SEO editoriale. Un paio di cose su di me? Nell’anno della mia nascita, i Talking Heads pubblicano «Remain In Light» e la Cnn inaugura le trasmissioni.  Ho una newsletter, i Dispacci, e il mio primo romanzo è «Polvere e cenere».

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