Le visite guidate ai tempi della quarantena: come per lezioni, classi di yoga e (ebbene sì) aperitivi, anche l’arte contemporanea è online, in diverse declinazioni. Ad esempio, le “visite al telefono”, al debutto con la Chiesa Rossa di Dan Flavin.
D omanda: è possibile, in tempo di quarantena da Coronavirus, scoprire opere di arte contemporanea incastonate nel tessuto urbano, installazioni site specific in grado di plasmare nuove forme nelle città? Secondo WAAM sì: grazie al digitale e a Zoom, nascono le Visite al telefono, che superano la dimensione fisica necessaria per scandagliare l’area metropolitana. Il debutto ieri sera, alla Chiesa Rossa di Dan Flavin.
Nell’attesa di poter tornare a immergersi in queste realtà.
Le visite virtuali: necessità di ora e desiderio di domani
Un passo indietro. Qualche tempo fa, sarei dovuta andare ad ascoltare Tabula Rasa di Arvo Pärt proprio alla Chiesa Rossa. Come per vari altri appuntamenti, quello con il compositore estone è saltato, inghiottito nella frenesia di quei giorni che, oggi, sembrano un film fuori programmazione. Non che l’isolamento mi pesi: sono tra i fortunati smart workers e un certo senso di responsabilità, personale e sociale, mi rende conscia della necessità di tutto questo. La mancanza di alcuni pilastri fondanti della vecchia vita sociale si fa comunque sentire: incontri, gruppi di lettura, mostre e via dicendo.
Poi, ecco la proposta.
Qualche giorno fa, per l’appunto, sono arrivate le ragazze di WAAM. Da sempre propongono degli itinerari con sguardi inediti su Milano, focalizzandosi sui dettagli spesso trascurati, addentrandosi nello sviluppo urbano della città, scoprendone le storie dimenticate. Oggi, la stessa città arriva tra le mura di casa e fa sì che, nel rispetto civile, la voglia di conoscere non debba essere sedata.
Così, eccomi qui a visitare l’installazione di Dan Flavin a Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa, mentre mi trovo a diversi km di distanza.
La Chiesa Rossa: storia di una periferia (davvero) illuminata
Quella della Chiesa Rossa di Dan Flavin è la storia di un’idea bizzarra che coinvolge personaggi quasi antitetici, almeno in apparenza: il parroco di una chiesa della periferia sud di Milano e un artista newyorchese di fama internazionale. Lo scenario? Un quartiere in un momento di grave difficoltà e il sogno di un’opera che viene realizzata a distanza.
Tutto inizia proprio nel quartiere Chiesa Rossa, così chiamato dalla chiesa del X secolo in laterizio rosso (tu pensa), costruita vicino alla Conca Fallata del Naviglio Pavese. Negli anni ‘90, la zona attraversa un momento di profonda crisi culturale e sociale. Ed è il parroco di Santa Maria Annunciata, un’altra chiesa che sorge a poca distanza, a decidere di muoversi per cambiare le cose: fomentato da alcuni amici, contatta un artista che ha avuto modo di scoprire nelle sale di Villa Panza, a Varese. Qui, un’installazione realizzata con lampade fluorescenti, dedicata ai caduti in Vietnam, impressiona il religioso: la luce è palpabile e densa, ispiratrice.
Così, il parrocco contatta Dan Flavin.
”Vorrei che illuminasse con una luce di speranza il nostro quartiere.
La luce, che nelle parole del prete è intesa come simbolo per una comunità, diventa richiesta di vita: in breve, l’artista risponde alla chiamata.
Dall’altra parte dell’oceano, Dan Flavin lavora ai suoi progetti considerandoli quasi più importanti della realizzazione stessa. Si fa inviare foto e documenti della chiesa, costruisce un modello e dà vita a un flusso creativo delocalizzato.
I progetti partono dai lavori di Giovanni Muzio, architetto parecchio famoso nella Milano d’inizio XX secolo. Proprio lui lavora, negli interni ed esterni, con una forma diffusa nell’architettura milanese: l’arco siriaco (lo si vede anche alla Triennale, un’altra sua opera). Su questa forma, le lampade fosforescenti ridisegnano l’ambiente con volumi di luce separati, anche grazie all’uso sapiente della luce di Wood (sì, le lampade UV): la navata centrale in blu, il transetto in rosso, l’abside in oro.
Chi è Dan Flavin e perché la sua luce è vita vera
L’installazione della Chiesa Rossa viene realizzata nel 1997, un anno dopo la morte di Dan Flavin.
A dirla tutta, qualche connessione con il mondo ecclesiastico l’artista newyorchese ce l’ha: studia in un seminario cattolico, salvo però lasciar perdere per i pessimi voti. Al contrario, il fratello gemello li continua ma morirà in Vietnam (proprio a lui si ispira l’installazione che ha conquistato il prete milanese).
Nel gotha supremo della light art, i suoi primi studi sono bozzetti in acquerello su carta di riso, ispirati a scrittori e artisti, densi di citazioni. Poi, qualcosa cambia nella sua vita, per la precisione un incontro: quello con Sol LeWitt, padre di arte concettuale e minimalismo.
Dove si incontrano? Nel cuore dell’arte di New York, ovviamente, ma per una via interessante: Dan Flavin lavora infatti tra Guggenheim e MoMa ma come… custode e commesso. Proprio questi lavori gli consentono tuttavia di entrare in contatto con alcuni dei maggiori artisti del secondo Novecento.
Da qui nascono le sue opere più famose, che non smettono mai di legarsi a storia e spiritualità, come Icons, un vertice del minimalismo, riferito all’icona di Novgorod: le icone russe, collocate negli angoli delle stanze, sono in grado di manifestare la propria luce, esattamente come le fluorescenze di Flavin. O ancora i suoi tubi luminosi che celebrano la tecnologia salvifica per l’universo, seguendo l’esempio costruttivista, ma riprendono anche l’insegnamento di Guglielmo di Ockham. Le sue fluorescenze sono sempre utilizzate in numero limitato, hanno una durata precisa nel tempo, un vocabolario cromatico ristretto: incastrano lo spirito nel tempo effimero e nella società del consumo.
E poi arriva qui, alla periferia di Milano, chiamato da un religioso illuminato che vuole portare la luce nelle periferie.
Certo, una visita virtuale non sarà mai paragonabile all’immersione totalizzante in un luogo pensato per essere vissuto e rivissuto, per far confluire generi espressivi diversi, accogliere tasselli di varia umanità. Tuttavia una mezz’ora passata a riflettere su quanto esiste (e magari, in alcuni casi, ci trova indifferenti o schifati, non per forza affascinati), non è poi un modo così inutile per passare il tempo. Soprattutto se fatto con competenza e dedizione.
Grazie a Giulia di WAAM, guida virtuale, e Silvia, la mia guru dell’arte contemporanea.