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La capitale dello Sri Lanka è contrastante, infinita e protagonista del primo episodio di un reportage in tre puntate sull’isola dell’Oceano Indiano

 

N on si respira. Sbucare fuori dall’aeroporto di Bandaranaike dopo essersi lasciati alle spalle Abu Dhabi e aver attraversato l’Oceano Indiano toglie il fiato, letteralmente: Colombo ti accoglie nel suo caldo e umido abbraccio, nel caos vivace e nella frenesia notturna. Bastano pochi istanti per imparare da subito che le sue strade sono trafficate ad ogni ora del giorno e della notte, tra tuk tuk lanciati a raffica e veicoli di ogni genere, mentre il taxi è impegnato a svicolare tra auto e processioni che avanzano lentamente, illuminate da lanterne offerte alle statue di Ganesh tinteggiate da colori brillanti.
Dello Sri Lanka so ben poco, giusto un paio di nozioni base: la capitale e io condividiamo lo stesso nome (cosa che diventerà il mio lasciapassare per svariati siparietti e gradevoli conversazioni) e da qui proviene un tè tra i migliori del mondo.

Capitale di vivacità e contrasti

La mia città omologa, per quanto si presenti da subito variegata e caotica, è anche decisamente antica: la conoscevano bene i mercanti arabi, che da qui controllavano i commerci di mezzo ecumene, condividendo questo sapere con i romani.
Qualche tempo più tardi, nel XVI secolo, furono i portoghesi a stabilire qui il loro dominio, cacciando gli arabi prima citati e custodendo le preziose spezie all’interno di un maestoso forte, costruito per l’occasione. Pare siano stati proprio loro, nel 1505, a battezzare la città con l’attuale nome che, ahimè, non sembra avere alcun riferimento con il mio albero genealogico: l’espressione “porto sul fiume Kelani” o, secondo altri, “porto con frondosi alberi di mango”, entrambe mutuate dall’antico singalese sono state la matrice.
È la metà del ‘600 quando arrivano gli olandesi a fare piazza pulita dei concorrenti europei e stabilire qui il centro della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, almeno fino all’alba del XIX secolo. In questo periodo, Colombo diventa inglese, nonché capitale della colonia di Ceylon, fino al 1948: striature britanniche sono ancora chiaramente percepibili nelle architetture e nella cultura, basti pensare alla guida a sinistra.
Questa breve digressione storica è testimonianza della Colombo di oggi: rimasugli coloniali, vivaci negozi, traffico incessante, una stratificazione storica e culturale che ha del meraviglioso.

In questo vortice incessante, uno dei luoghi più pittoreschi è il quartiere di Pettah, nella zona della stazione ferroviaria: un gigantesco mercato a cielo aperto che si anima ogni giorno tra le rovine coloniali, proprio a qualche minuto da Fort. Venditori ambulanti di frutta fresca tagliata al momento, prodotti ayurvedici e chincaglieraia varia tutti a disposizione di un fiume di autoctoni e turisti vari.

Un fascino unico però lo rivelano i templi, specialmente se si trovano incastonati tra cantieri di moderni e lussuosi grattacieli di quella che sarà la capitale del futuro.

I templi di Gangaramaya e Seema Malaka

Di aspetti contrastanti, come si diceva, a Colombo ce ne sono svariati. Certo, non può che fare effetto smontare dal tuk tuk e trovarsi al cospetto di un tempio dove convivono tratti cinesi, linee indiane, cromatismi indiani e diverse altre sfumature che lo rendono un crogiuolo di stili asiatici.

Il tempio di Gangaramaya è intrico di edifici e cortili, estesi su di un’area enorme e nel quale l’albero della Bodhi troneggia al centro, avvolto da marmi candidi, sculture gigantesche e veri e propri mausolei.

Usciti da questo tempio, può capitare di camminare nel tentativo di raggiungere (a piedi) Fort e trovarsi sulle rive di un lago. Da lì, intravedere una nuova struttura sacra, superare un ponticello e trovarsi catapultati in un’altra dimensione: si arriva così al tempio di Seema Malaka. Gli abitanti di colombo arrivano sulle piattaforme che galleggiano sul Beira Lake e trovano un posto per meditare, all’ombra di una grande struttura di legno, nel cuore pulsante della capitale. Accanto a questo riparo, l’antico albero della Bodhi che, così dicono le guide, nasce direttamente da un ramo dell’albero sacro di Anuradhapura, a sua volta trasportato sino a lì dal distretto indiano del Bihar. La città moderna, il traffico e i cantieri, per quanto seguitino a rincorrersi a poca distanza, sembrano mondi lontani: di contro, in questo piccolo ritaglio sacro nel centro cittadino, sembra di trovarsi in una sorta di limbo, dove lo spirito trova un suo varco fermando il tempo mentre, sullo sfondo, si staglia la modernità. Un modo per ricordare le molte anime di questa città, la costante sinergia tra anima e progresso che sembra imporsi sin da subito.

Il tramonto a Colombo

Nel tardo pomeriggio non avviene solo un fenomeno astrologico: scolaresche con bambini vestiti di bianco, venditori ambulanti intenti a friggere frittelle di gamberi, un’umanità variegata si assiepa sul lungomare per assistere a uno spettacolo unico, quello del sole che lentamente viene inglobato nell’Oceano. Il tramonto da Galle Face Green è un rituale collettivo, senza distinzioni di età, provenienza e percezione emozionale: per qualche minuto, chiunque può passare di qui e ammirare la meraviglia.

Il giorno dopo questo tramonto, un treno sfreccia verso l’interno, direzione Anuradhapura: con lei inizierà la scoperta delle città antiche.

Samantha Colombo

Sono un'entusiasta delle parole per professione, etnomusicologa di formazione: scrivo, su carta e online, aiuto le persone a esprimersi attraverso la scrittura e navigo serena nella SEO editoriale. Un paio di cose su di me? Nell’anno della mia nascita, i Talking Heads pubblicano «Remain In Light» e la Cnn inaugura le trasmissioni.  Ho una newsletter, i Dispacci, e il mio primo romanzo è «Polvere e cenere».

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