Due secoli di vita e i romanzi storici appassionano ancora, soprattutto oggi. Dall’incontro con tre autori, Lilin, Simoni e Strukul, la domanda sorgere spontanea (almeno a me): perché scrivere un romanzo storico?
A ccade che, durante la prima edizione di Tempo di Libri, sia organizzato un incontro con protagonisti tre degli autori più letti di recente, ciascuno portatore sano della propria ultima opera: Marcello Simoni con L’eredità dell’abate nero (Newton&Compton), Matteo Strukul con I Medici. Una dinastia al potere (Newton&Compton) e Nicolai Lilin con le Favole fuorilegge (Einaudi).
Comun denominatore del trio è l’aver dato vita a libri di ambientazione storica che hanno conquistato, come si dice, critica e pubblico e i cui volumi si stagliano praticamente ovunque nelle librerie. Da divoratrice del genere, ciò non può che essere un’epifania e mi porta a diverse congetture.
Il punto di partenza è, avendola letta con avidità, la trilogia dei Medici, una storia che ha conquistato l’immaginario collettivo sia con i libri di Strukul sia con la serie televisiva (che nulla ha a che vedere con l’opera ma che ha calamitato l’attenzione di milioni di spettatori su Rai Uno).
È di certo la storia di una grande famiglia, dove intrighi e avventura muovono le vite dei personaggi, ma non solo: è una storia di cultura e di come essa sia talmente forte da cambiare vite e vicende storiche. Sempre considerando la trilogia di Strukul, ad esempio, in ciascuno dei volumi è presente una grande figura culturale accanto a quelle di potere: Filippo Brunelleschi e Cosimo il Vecchio, Leonardo Da Vinci e Lorenzo il Magnifico, Nostradamus e Caterina de’ Medici. Nelle storie di potere delle grandi famiglie, la cultura gioca infatti un ruolo fondamentale e accompagna, se non guida, i grandi eventi storici (basti pensare alla costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore). Insomma, in tutti questi romanzi è presente un intreccio di storia, arte e immaginazione che, da secoli, non fa che attrarre.
È tuttavia doveroso fermarsi a considerare la storia di questo genere e, da questo principio, arrivare a comprendere la sua forza e la capacità di innovarsi fino a giorni nostri, dalle pagine di volumi del XIX secolo agli schermi degli ebook reader.
Pignoleria: romanzo storico vs. ambientazione storica
Innanzitutto, è bene fare un po’ di chiarezza in un argomento decisamente vasto. Quello che viene definito romanzo storico, nella sua accezione ottocentesca, poggia su due pilastri fondamentali:
- l’evasione dal presente, secondo l’accezione sviluppata nel Romanticismo, in favore di momenti idealizzati della storia (uno su tutti, il Medioevo);
- l’attualizzazione del passato, focalizzando momenti particolari della storia patriottica o momenti della vita di personaggi importanti.
Questi aspetti, solo all’apparenza antitetici, nascono in un contesto sociale e politico particolarmente travagliato, dove il confronto con il passato appare non solo come fonte d’ispirazione ma anche il modo migliore per effettuare un paragone con il presente. Va inoltre sottolineato che, in Italia, il romanzo agli inizi dell’800 è considerato un genere basso: motivi storici, didattici e patriottici elevano questa forma letteraria, nelle intenzioni degli autori.
Il modello, come insegano tra i banchi di scuola, è ovviamente Ivanohe di Walter Scott. Il racconto celebra il sentimento nazionale, descrive eventi che portano alla nascita della moderna società britannica ma non solo: racconta una storia d’avventura. Proprio per questo racchiude in sé quelli che saranno gli elementi principali del romanzo storico:
- la descrizione pittoresca di epoche remote, ricca di scenari naturali e architetture;
- un’inclinazione didascalica nella descrizione di usi e costumi;
- il gusto per l’avventura, con suspence, caratterizzazione archetipica dei personaggi (il buono, il cattivo ecc.), scene di battaglia e via dicendo.
In poche parole, un’attualizzazione dell’epica cavalleresca, secondo il gusto (allora) contemporaneo. Tutto questo in Italia arriva nel 1827, anno in cui cominciano le prime pubblicazioni e tra le quali spicca, nemmeno a dirlo, I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Questi tuttavia si distacca ben presto dalla lezione britannica, ripudiando il genere nella lettera Sul romanzo storico. I meriti di Walter Scott sono tuttavia evidenti, avendo portato nel romanzo avventura, ritmo, realismo e personaggi ben caratterizzati. In sostanza, ciò che sarebbe piaciuto nei secoli, e non poco. Il nome Emilio Salgari dice qualcosa?
In Francia, la lezione di Scott diventa l’ossessione di Alexandre Dumas (padre), che la applica ai suoi feuilleton, i romanzi a puntate, come la trilogia de I tre moschettieri e altre sue opere. Allo stesso modo agisce Victor Hugo che, ne I Miserabili, si spinge oltre, avvicinando la sua avventura all’attualità e innestando su di essa una forte componente sociale, un po’ come per Lev Tolstoj nel suo granitico capolavoro Guerra e pace.
Attualmente, si considera spesso un romanzo storico anche un’opera scritta nel passato e che, all’epoca, poteva essere considerata più o meno contemporanea all’autore (immaginare, tra un centinaio d’anni, un Pastorale americana di Philip Roth così catalogato).
Ancora, si parla di romanzo storico anche nel caso di opere contemporanee ambientate nel passato, mentre sarebbe meglio parlare di romanzi di ambientazione storica.
Poiché essere pignoli è un’arte.
Quel che resta di Walter Scott e colleghi
Avventura, critica sociale, morale e molti altri sono tutti elementi ancora in grado di ispirare. Scrivere storie di ambientazione storica è per certi versi molto stimolante per uno scrittore e per diversi fattori:
- resta immutata l’umana necessità di raccontare e apprendere storie, che sia attraverso libri, film o serie tv;
- l’accesso alle fonti, anche grazie a opere quali la digitalizzazione degli archivi storici, è spesso molto più semplice che in passato e la documentazione disponibile è vasta e reperibile;
- come sottolinea Simoni, una componente fondamentale si impone ed è imprescindibile: il ritmo.
A proposito di quest’ultimo punto: se, nei primi decenni dell’800, la società inizia a conoscere una nuova percezione del tempo, nella vita quotidiana così come in quella collettiva, grazie alla Rivoluzione Industriale, l’era digitale impone ancora di più questa urgenza.
Da sinistra, Marcello Simoni, Matteo Strukul e Nicolai Lilin a “Tempo di Libri”
Perché scrivere (e leggere) un romanzo di ambientazione storica?
Considerati quelli che sono elementi caratteristici e la capacità del genere di rinnovarsi, l’incontro con i tre autori è lo spunto per farsi la madre di tutte le domande: perché mettersi a scrivere un romanzo di ambientazione storica, al di là di una mera inclinazione personale?
Per poter trasmettere ciò che le persone facevano nel passato — Nicolai Lilin
Secondo l’autore de L’educazione siberiana, romanzi che guardano al passato sono un modo per recuperare e trasmettere parole, usi e costumi di epoche ormai perdute. Un modo per conservare la memoria storica e, per quanto possibile, portare avanti una tradizione culturale, spesso anche attraverso le parole dei protagonisti. Ciò che è possibile trasmettere sono anche valori universali o, al contrario, grandi cambiamenti che consentono di confrontare la condizione presente e capire come si è giunti fino ad oggi.
Regista dei nostri romanzi è il pubblico — Marcello Simoni
Il punto di vista di Simoni si focalizza su un altro aspetto fondamentale, soprattutto per quanto concerne la lettura del romanzo: stimolare l’immaginazione. Questo vale per qualsivoglia lettura ma, in modo particolare quando si parla di luoghi e epoche ignoti al quotidiano, la mente è costretta a elaborare visioni, odori e sensazioni dalle parole. Un’azione non indifferente in un mondo ove si è bersagliati ogni secondo da immagini preconfezionate.
Storia e attualità: l’idea di governare innestava sul modello economico quello culturale e artistico — Matteo Strukul
In ultima analisi, ma non meno importante, la storia è il punto di partenza per un confrontare l’attualità da un punto di vista sociale e politico.
Prendendo le mosse dall’affermazione di Strukul, è possibile ad esempio sottolineare che ciò che manca al nostro tempo è il concetto di cultura, arte e bellezza condivise. In una società in cui tutto è effimero e si è perso il senso dell’attesa a favore di un’immediatezza e di una concezione usa e getta di qualsivoglia oggetto, siamo talmente abituati a vedere la bellezza che non ci fa effetto e questo è un grave problema.
La cultura è il veicolo che ci unisce in quanto esseri umani, come sottolinea Lilin, e nessuno può distruggerla: è l’idea, la volontà di aggregazione, la trasmissione delle tradizioni e oggi più che mai è fondamentale considerare questo punto di vista e metterlo per iscritto.
Scrivere un romanzo storico non è solo l’espressione di una passione personale, ad esempio l’inclinazione per un autore verso il Medioevo o l’epoca Vittoriana, bensì è un modo per esprimere idee e concetti dissimili: basti pensare a un esempio abbastanza irraggiungibile, quello di Umberto Eco e de Il nome della rosa. Questo monolito della letteratura non è un trattato di vita monastica né il saggio di un grande semiologo: è un giallo, ma caratterizzato con una dovizia di particolari e una vocazione filologica invidiabile, il tutto condito dalla fantasia.
E perché leggerlo? Per i motivi stessi per cui si legge: per conoscere, per immaginare, per non atrofizzare la propria mente e non ridursi a ricettori passivi, di una storia così come della realtà intorno.
Infine, l’ardua scelta. Ecco tre dei romanzi con ambientazione storica che più ho amato (letti in lingua originale, riporto per praticità l’edizione italiana con rimando doveroso ai traduttori, come mi ha insegnato Manuela Piemonte):
- Julian Barnes, Arthur e George (traduzione di Susanna Basso e Daniela Fargione, Einaudi);
- Susanna Clark, Jonathan Strange e il Signor Norrell (traduzione di Paola Merla e illustrazioni di Portia Rosenberg, Longanesi);
- Michel Faber, Il petalo cremisi e il bianco (traduzione di Elena Dal Pra e Monica Pareschi, Einaudi).
Immagine in apertura da Unsplash.
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