Tra arte sacra medievale, quadri rinascimentali, tovaglie perugine e foto rock, scoprire nella Galleria Nazionale dell’Umbria 4.000 metri quadri di un antico palazzo, disseminati di opere d’arte
“S iete lì dentro? Allora la questione si fa lunga!”. Non che un museo ci abbia mai intimorite, ma il consorte della mia amica è abbastanza perugino da sapere bene che la Galleria Nazionale dell’Umbria è molto più vasta di quanto si possa effettivamente pensare. E, per inciso, è sempre meraviglioso incappare in un errore di sottovalutazione del genere.
Ai piani superiori del Palazzo dei Priori di Perugia, ha sede una delle raccolte d’arte più ricche d’Italia: perché non ci abbia mai messo piede prima, resta un mistero. Per quanto sia affascinante pensare che su queste tele siano accumulati secoli di polvere, la collezione non è sempre stata qui. La sua storia è intrecciata a quella dell’Accademia del Disegno della città. Il 4 giugno 1863, il museo viene separato dall’Accademia per diventare civica pinacoteca e viene dedicato, non a caso, a Pietro Vannucci, meglio noto come Il Perugino. Un decennio più tardi, viene trasferita nella sua odierna sede.
Il percorso attuale nasce dal 2006 e ha subito molte rivisitazioni, tuttavia la sostanza non cambia: due piani per circa 4.000 metri quadri disseminati di opere disposte in ordine cronologico, con particolare dedizione per Medioevo e Rinascimento, senza disdegnare qualche incursione nelle arti applicate, come gioielli e tovaglie perugine.
Già, tovaglie. Avete presente una tovaglia perugina? Essere nata in quella che viene definita la Manchester d’Italia presuppone, credo, una deformazione genetica che arriva a portarmi qui, davanti a un telaio. Questi oggetti sono il più antico esempio di tessitura manuale, che risale fino al XII secolo. Nel loro contrasto di blu e avorio, sono uno degli esempi storici di come il Made in Italy, per quanto il concetto d’Italia fosse ancora vagamente lontano, avesse già conquistato il mondo. Quantomeno quello allora raggiungibile.
Tornando alle sale, queste migliaia di metri quadri disseminati di opere non possono che ricordare la sovraesposizione artistica di un Paese fantastico, così densa che, spesso, fa dare per scontata la meraviglia. Tale emozione la si nota però stampata sui volti di una famiglia americana che se ne sta lì, a bocca aperta, davanti a un’opera in particolare. Un manufatto che mi porta a riflettere su una costante, tra le diverse della mia vita, che incontro nuovamente per le strade umbre. E, del resto, non può che essere lui: Piero Della Francesca.
Paese che vai, Piero della Francesca che trovi
Accade che, appena girato un angolo in una delle decine di sale, alcune peraltro sontuosamente affrescate, si entri in una stanza più buia delle altre, all’improvviso. Un po’ come quando, girovagando per l’Ermitage di San Pietroburgo, finii praticamente in braccio a un marmo del Canova: la bellezza è così, ti si scaraventa addosso e ti lascia senza fiato.
L’Annunciazione di Piero Della Francesca, lassù in alto
E così ha fatto l’Annunciazione di Piero Della Francesca, sulla cimasa del polittico di Sant’Antonio, che l’artista ha dipinto per il convento perugino dedicato al santo. Da queste colline, le opere dell’artista sono poi finite alla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, agli Uffizi di Firenze, alla National Gallery di Londra e a alla Pinacoteca di Brera a Milano: in sostanza, non c’è un Museo che abbia visitato dove non si trovi. Per arricchire il poker, qui nelle sue terre alberga una delle sue opere più importanti.
Questa cimasa è degli anni ’70 del ‘400 ma splende come se fosse stata dipinta ieri. E la resa architettonica, la definizione delle luci e delle ombre, sono ad oggi una lezione vivida non solo per i pittori, ma pure per fotografi, disegnatori e chiunque si cimenti con la prospettiva. O voglia semplicemente stare lì a guardare.
Dare un’occhiata (o più) ai dettagli
Mentre girovaghiamo per le sale, un’ulteriore considerazione emerge. Una riflessione profonda sulla condizione dell’artista all’inizio del Rinascimento, in quel delicato periodo in cui precise linee e cromatismi delicati tracciano la storia dell’arte futura: “Pensa com’era fare il pittore nel ‘300… un sacco di Madonne e Bambini, Bambini e Madonne!”.
In effetti, più ci si addentra nel Rinascimento, e più le proporzioni si impongono, i colori si accendono, la natura conquista e le espressioni sfumano sulle diverse emozioni. L’arte religiosa è onnipresente, ma le figure acquistano un’umanità piena, abbracciano nuovi soggetti, si perdono nella realtà secolare. E tutto questo si percepisce nei dettagli.
Come per Benedetto Bonfigli, con la sua Madonna orante col bambino e angeli musicanti, presumibilmente una tavola dipinta con tempera e olio, della metà del ‘400 e recuperata dalla Chiesa di San Domenico. Angeli musicanti: due di loro, metà del quartetto in primo piano sul dipinto, imbracciano un liuto e una fidula, quest’ultimo l’antenato rinascimentale del violino.
E poi arriva Bartolomeo Caporali, con una Madonna con bambino e angeli entro una ghirlanda, una tempera su tavola dipinta un paio di decenni dopo. Di questo caporali si sa ben poco, a quanto pare. Ma pare non disdegnasse le scuole pittoriche perugine, in modo particolare la scuola di Domenico Veneziano, la stessa che ha visto anche tra i protagonisti lo stesso (guardacaso) Perugino.
Bonus: Rinascimento e rock’n’roll
Perché l’altro grande Rinascimento che conosco è quello del rock’n’roll e, probabilmente non a caso, le sale della Galleria hanno ospitato una mostra fotografica dal titolo emblematico quale Immaginare la musica, con scatti di Luca D’Agostino e Luciano Rossetti. Su una parete, uno accanto all’altra, se ne stavano Patti Smith e David Byrne.
Chiedetemi quale sia uno dei percorsi più affascinanti in cui si possa incappare. La risposta è quella di perdersi al di là del tempo e dello spazio, dove l’arte ci salverà su tutti.
Tutte le foto sono state fatte dalla sottoscritta col fedele Huawei P9.
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