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Ovvero, di come la fiera del libro di Milano abbia aperto, chiuso e lasciato qualche riflessione

 

L’ attesa comincia lo scorso autunno, con una lunga e talvolta sfiancante querelle che vede frapporsi Torino e Milano: da un lato, la sede dello storico Salone del Libro e, dall’altro, la nascente fiera Tempo di Libri. Così, mentre il regno sabaudo e il ducato si stagliano da una parte all’altra del Ticino a suon di chi farà meglio, finalmente arrivano i giorni della verità: dal 19 al 23 aprile, la fiera del libro milanese ha infatti inaugurato la sua avventura nella sede di Rho Fiera.

Il patrimonio di esperienze personali di qualunque visitatore è fondamentale nel primo approccio. Da frequentatrice del salone torinese, tento di non farmi aspettative, seguendo il vecchio adagio per il quale siano proprio queste a creare le grandi delusioni. Del resto, i ricordi dell’ultima edizione sono piuttosto importanti, dall’incontro faccia a faccia con Roberto Saviano al tragitto in metropolitana con declamazione di Shakespeare in lingua originale, merito dei miei compagni di viaggio.
Ora è tempo di riflessioni, per quanto possibile lucide, su quella che è stata una manifestazione importante. E una delle più puntuali che abbia letto, seguendo pedissequanmente il quotidiano report, è quella di Chiara Beretta Mazzotta per BookBlister, una che di sistema editoriale e dintorni qualcosa ne sa. Leggere per credere:

Tempo di Libri e di riflessioni sulla neonata fiera dell’editoria milanese

Del resto, quando si tratta di cultura, nella fattispecie di quegli oggetti composti di pagine per i quali ringraziare Johannes Gutenberg, non è possibile scivolare sulla superficie: poggiate le basi, individuare detriti da spazzare via e lucidare buoni elementi costruttivi è essenziale. Anche perché, stando a quanto afferma il sindaco Giuseppe Sala, Milano vuole un’edizione 2018.

Il capoluogo lombardo non è un’entità estranea agli eventi che vedono i libri protagonisti: appena un mese fa, Book Pride ha raccolto negli spazi di BASE voci importanti dell’editoria indipendente per la terza edizione; il prossimo novembre, BookCity conquisterà nuovamente la città con reading, spettacoli, incontri e via dicendo.
Per quanto concerne Tempo di Libri, non ho visto ciò che era stato promesso, ossia una fiera dell’editoria italiana tout court, anche cosiderando le illustri assenze: Adelphi (che non sarà presente nemmeno a Torino), Minimum Fax e altre realtà, piccole nella struttura aziendale ma enormi nella proposta editoriale, lasciano un vuoto. Similmente, i corridoi deserti per i primi tre giorni, l’orario di apertura limitato e la scelta della data (tra i ponti di Pasqua e del 25 aprile, ovvero quando l’arditezza sfida la follia) non sono grandi indici di serenità. Poi arriva la domenica e, con essa, un po’ di gente paga il biglietto e sciama nei corridoi.

Tuttavia, lo spazio fieristico è luminoso, ben collegato alla città e alla periferia, potenzialmente ampliabile (solo due padiglioni della Fiera sono utilizzati) e pronto ad accogliere un evento che non punti tanto a riunire editori e affini secondo la logica del numero, ma piuttosto valorizzando l’offerta editoriale con un filo conduttore che, ahimè, ora è inesistente.
Anche la questione di Fuori Tempo di Libri non è da ignorare: un evento che vede la sua matrice nel Fuorisalone e che punta all’organizzazione di appuntamenti collaterali oltre gli spazi fieristici, non si è adeguatamente imposto. E, da una che l’omologo del design lo ha praticamente visto nascere ed esplodere, non può esserci del rammarico.

Tornando agli aspetti positivi, il mio tesoro di questa fiera parte da una copia de I Buddenbrook di Thomas Mann della collana Classici Moderni di Newton Compton, una delle mie grandi lacune letterarie. Proprio questo stand, con i classici della letteratura messi in bella mostra e tra i quali rovistavano in molti, soprattutto ragazzi, ridà fiducia in un’umanità intellettualmente fertile.

 


I “Classici Moderni” di Newton Compton

 

Domato l’impulso di tuffarmi a bomba tra questi volumi (peraltro con una morbida copertina), si apre il capitolo stand: sono presenti i consueti giganti, Mondadori e Rizzoli tra tutti. Non ho particolare simpatia per stand corazzati di vetro, nei quali l’ingresso è difficoltoso e che sembrano proteggere al loro interno il proprio patrimonio, anziché aprirlo ai visitatori. Mi rendo conto ci siano considerazioni al riguardo (sicurezza, misure antifurto e via dicendo), ma in una fiera le proproste culturali dovrebbero respirare e invitare alla consultazione, allo sfogliare e leggere in loco, non segregare. Anche considerando il valore inestimabile contenuto in alcuni cataloghi. C’è però anche chi punta alla creazione di stand eleganti ed ecosostenibili, che offrono comode postazioni per una veloce lettura, come Baldini & Castoldi.

 


Lo stand cartonato di Baldini e Castoldi

 

Anche Treccani, nonostante il nome stesso suggerisca un monolito della cultura e ispiri una sensazione di intoccabilità, invita alla visita del suo luminoso stand. Qui è possibile sfogliare la riproduzione del codice Roman de la rose e dare un’occhiata alle novità: diffusione della cultura e conservazione del patrimonio storico sono le parole chiave.
Ed è quanto si apprende anche presso una realtà decisamente più piccola, come le Edizioni Sabinae. Pochi, pressoché inesistenti, gli spazi dedicati ai libri antichi, se si esclude una piacevole conversazione qui, con la direttrice della Biblioteca Angelica di Roma.
A proposito di dialoghi e storia, sono tanti gli incontri in cartellone, non dissimili dai molti che avvengo nelle piccole e grandi librerie, uno in particolare molto interessante: I signori del romanzo storico, incontro autogestito da Marcello Simoni, Matteo Strukul e Nicolai Linin e che merita un approfondimento a parte.

Varcando l’uscita, la sensazione è di un esordio pacato e che, con uno sguardo al futuro, la lezione debba guardare non tanto a obiettivi numerici quanto piuttosto contenutistici, come prima accennato. Se c’è una cosa che ogni evento legato al mondo dei libri insegna, in ogni luogo, è che una triste verità vede molti disabituati alla lettura, ma anche molti disposti a viaggiare, pagare un biglietto e affrontare lunghe code per accaparrarsi dei libri. Dei libri! Pertanto, se una delle regole base della comunicazione ricorda di pensare all’interlocutore, è questo il fulcro da cui partire: non da una gara, dall’imponenza o chissà che altro, bensì dal portare il mondo della letteratura, della saggistica e via dicendo accanto a donne e uomini di ogni età.

Un po’ come hanno fatto loro di Narratè, portando storie in tavola: controllare Instagram per credere!

Di eventi meritevoli di calamitare l’attenzione sia dei bibliofili sia di chi ancora non si è accostato a un mondo vasto, dove l’offerta è talmente frammentata da rendere difficile orientarsi, c’è necessità oggi più che mai. Perché i lettori sono tutt’altro che una specie in estinzione, nonostante la lettura debba fare i conti con un mondo divora il tempo da dedicare alla lettura stessa. È perché è fondamentale non smettere di fare riflettere e stimolare al confronto.

Prossima tappa, Torino.

Immagine in apertura da Unsplash.

Samantha Colombo

Sono un'entusiasta delle parole per professione, etnomusicologa di formazione: scrivo, su carta e online, aiuto le persone a esprimersi attraverso la scrittura e navigo serena nella SEO editoriale. Un paio di cose su di me? Nell’anno della mia nascita, i Talking Heads pubblicano «Remain In Light» e la Cnn inaugura le trasmissioni.  Ho una newsletter, i Dispacci, e il mio primo romanzo è «Polvere e cenere».

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