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Dalla mostra NASA – A Human Adventure alle stelle, è un attimo. Cosa affascina davvero dello spazio? E perché dovremmo andare là? Le idee sono tante, spesso confuse, ma una cosa è certa: il cosmo è più vicino di quanto si possa immaginare.

F antastico il cosmo infinito, eppure il buon senso suggerisce che, per puntare in alto, sia sempre meglio partire con i piedi per terra. Così, tutto comincia a Lambrate, quartiere orientale di Milano: qui approda la mostra, in tour internazionale, NASA – A Human Adventure: 1.500 metri quadri che, nello Spazio Ventura, raccontano ciò che lega l’uomo al cosmo, dal primo viaggio nello spazio alle recenti missioni. E lo fa con centinaia di oggetti e repliche, in prestito dal Cosmosphere International Science Education Center, dallo Space Museum e dal U.S. Space & Rocket Center.
E non solo.

L’avventura spaziale, la scoperta di quell’infinito che sta sopra le teste di ognuno, è qualcosa che attrae con un magnetismo particolare: pensare di essere là, dove nessuno è mai giunto prima, è un assunto che ha ha fatto impazzire generazioni. Tuttavia, che da piccoli si sognasse di fare gli astronauti (come nel film Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli, del 2009) o si studi nel dettaglio come faccia lo Space Shuttle ad arrivare lassù, forse l’attenzione non è calamitata solo da sofisticate tecnologie e grandi avventure. Questa impresa è infatti compiuta da uomini e, nel più profondo, da una spinta che si perde nella notte dei tempi: il sogno.
Ed è proprio questa la chiave di volta, che consente di guardare oltre le stelle, tra gli ingranaggi dei rover e sempre più in là, dove fisica e immaginazione diventano un tutt’uno.

What I’m asking you… what I’m asking everyone in that room, all my geniuses, is to look beyond the numbers. To look around them. Through them. For answers to questions we don’t even know to ask. Math that doesn’t yet exist. Because without it, we’re not going anywhere. We’re staying on the ground. We’re not flying into space...we’re not circling the earth. And we’re certainly not touching the moon. And in my mind...I’m already there. Are you?

(Ciò che ti sto chiedendo… che sto chiedendo a tutti in quella stanza, a tutti i miei geni, è di guardare oltre i numeri. Intorno a essi. Per risposte a domande che non sappiano nemmeno come porre. Matematica che ancora non esiste. Perché senza questo non andremo da nessuna parte. Staremo al suolo. Non voleremo nello spazio… non circumnavigheremo la terra. E di sicuro non toccheremo la luna. E nella mia mente… sono già là. E tu?)

Dal film “Hidden figures (Il diritto di contare)” (2017)

Conquistare lo spazio o esserne conquistati?

Ciò che viene spesso definito “conquista dello spazio” è molto più che un processo tecnologico, qualcosa di estraneo alla realtà quotidiana: è un vero e proprio archetipo, un desiderio che fa parte dell’uomo dai tempi più remoti.
A dirla tutta, non si tratta neppure di conquista. Ci ha già pensato Orazio a esprimere questo concetto quando, nelle sue epistole, scrive che Graecia capta ferum victorem cepit, per spiegare come “la Grecia, conquistata [dai Romani], conquistò il selvaggio vincitore”. Da un lato, lo spazio non è infatti un piccolo territorio da esplorare e rinchiudere in confini geopolitici: è una frontiera infinita. De Mauro, vieni un po’ qui:

Spazio: la sede illimitata dei corpi celesti, spec. in quanto oggetto di studio e di esplorazione da parte dell’uomo: i pionieri dello s., i primi astronauti.

Perciò, non si tratta tanto di conquistare lo spazio, ma essere conquistati dalla sua stessa idea e cercare, in ogni modo e con tutti i mezzi disponibili (in alcuni casi con l’aggiunta di alcuni futuribili) di arrivare a esso.
Ha un senso quindi che, nella stessa mostra NASA di Milano, si parli piuttosto di Corsa allo spazio, quella che, dagli anni ‘40 del secolo scorso, ha visto protagoniste le grandi potenze e le loro menti più brillanti, per diventare realtà proprio alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Una corsa che vede il suo apice il 4 ottobre 1957 con il lancio dello Sputnik, il primo satellite artificiale mai spedito in orbita. Con tanti saluti al mondo da Nikita Chruščëv.
La corsa ha ovviamente come protagonisti i due titani di un’intera epoca: USA a occidente e URSS a oriente. E la Guerra Fredda, per quanto personalmente non abbia che una manciata di ricordi al sapore di Glasnost e Chernobyl, influenza più che mai il quotidiano.
Da allora, e per un paio di decenni, la contrapposizione tra i due giganti sposta il baricentro dalla terra al cielo: è una gara a due, a chi avrebbe lanciato lassù il primo uomo. E il primo cosmonauta è sempre russo, Yuri Gagarin, seguito qualche anno più tardi dall’astronauta americano Alan Shepard.

Sognatori e pionieri

Ora, un passo indietro. Prima di visualizzare laboratori pieni di fisici, ingegneri e matematici discutere di dati in inglese o russo, è bene ricordare una cosa: Gagarin e Shepard non sarebbero mai arrivati a guardare il pianeta dall’alto senza dei visionari a predire tutto questo. Per generazioni, questi Sognatori hanno tradotto in pagine di libri, opere d’arte e via dicendo la voglia di abbandonare la terra e dirigersi verso altri mondi, del tutto ignoti e proprio per questo irresistibili, immaginando la loro stessa esistenza fino a essere considerati visionari, illusi e folli.
È una parte della storia spaziale che spesso viene trascurata, ma che vede le sue radici più antiche nella creazione di quella che, da semplice visione (non del tutto razionale) diventa oggi realtà, ad esempio con le foto che gli astronauti condividono ogni giorno sui loro social dalla ISS. Da follia a quotidianità: c’è qualcosa di meglio?
Ultimamente è abbastanza facile fantasticare di essere su un’astronave a brandire spade laser, certo nel II secolo a.C. la mente umana avrebbe dovuto fare un po’ più di fatica nell’elaborazione di visioni simili: è il caso di Luciano di Samosata, che racconta di un viaggio sulla luna e dell’incontro con forme di vita. C’è tuttavia da aspettare un po’ prima che qualcosa dia un nuovo impulso a queste opere, mandando in orbita artisti e letterati: le scoperte di Copernico e Galileo nel XVI secolo.
Proprio la mostra NASA di Milano ha il pregio di chiamare all’adunata quei nomi che, in materia di sogni e visioni, hanno detto parecchio:

  • il genio di Leonardo Da Vinci (1452-1519) con i suoi progetti e prototipi, oltre alle intuizioni astronomiche;
  • Jules Verne (1828-1905) con dovizia di dettagli, ha descritto veicoli e tecnologie futuribili nei minimi dettagli;
  • Georges Méliès (1861-1938), tra i fondatori dell’arte cinematografica, con il suo Voyages Dans La Lune porta sullo schermo i viaggi spaziali nel 1902;
  • H.G. Wells (1866-1946) influenzando il regista sopra citato, immagina i viaggi stellari nelle sue opere ed è considerato come uno dei due padri della fantascienza;
  • Edgar Rice Burroughs (1875-1920) con la serie dei romanzi che debutta con Under The Moons Of Mars è uno degli autori più prolifici (e, già che c’è, inventa pure Tarzan);
  • Hugo Gernsback (1884-1967), fonda la prima rivista di fantascienza, a titolo Amazing Stories, nel 1926 (ecco l’altro padre);
  • Chesley Bonestell (1888-1986), con le sue illustrazioni astronomiche, influenza direttamente gli scienziati e non solo gli artisti;
  • Alex Raymond (1909-1956) è il creatore di Flash Gordon e porta nei suoi fumetti le vicende di un avventuriero dello spazio;
  • Robert McCall (1919-2010) è punto di riferimento con le sue illustrazioni spaziali, così dettagliate da lavorare alle locandine di 2001: Odissea nello spazio;
  • Ray Bradbury (1920-2012) pubblica numerosi romanzi, ma le sue The Martian Chronicles del 1950 restano un monolito del genere;
  • Isaac Asimov (1920-1992), russo naturalizzato statunitense, è un caposaldo sia della fiction sia della divulgazione scientifica.

Basta dare un’occhiata alla cronologia qui sopra, per ricordare come il XIX secolo sia un punto chiave: un secolo nel quale il progresso scientifico e tecnologico raggiunge vertici mai conosciuti sino ad allora: ne sono un esempio anche i cataloghi delle grandi Esposizioni Universali, non a caso figlie del proprio tempo.
Inevitabile quindi che, a un certo punto, i sognatori si trasformassero in Pionieri. Uno di questi vive proprio all’inizio di quel XX secolo che vede la corsa allo spazio possibile, un matematico russo, autore del primo testo sui viaggi spaziali: Konstantin Tsiolkovsky. In questo testo del 1903, Esplorazione degli spazi cosmici con razzi a propulsione, emerge con chiarezza l’approccio scientifico: tra le pagine, l’ingegnere e scienziato parla di elementi come design dei razzi e propulsione, diventando pioniere dell’astronautica e padre dei voli spaziali.
In poche parole, da pagine di libri intrise di fantasia a prototipi ingegneristici finanziati dagli Stati, è un cammino possibile grazie a uomini e donne di ogni tempo.

Le donne astronauta

Già, a proposito di donne e NASA: Hidden figures, il film citato all’inizio, racconta proprio la storia delle prime tre signore afroamericane ad assumere posizioni importanti nell’agenzia spaziale: la matematica Katherine Johnson, l’ingegnere Mary Jackson e la programmatrice informatica Dorothy Johnson Vaughan.
Tre donne che hanno fatto qualcosa di straordinario, muovendosi in ciò che era considerato impossibile: superare le barriere della segregazione razziale e della discriminazione di genere in anni in cui esse costituiscono barriere insormontabili, non solo partecipando attivamente alle missioni spaziali, ma pure determinandone progressi e successi. Quanto basta per mettere tutte e tre sull’altarino di chi guarda oltre e cambia sia il proprio destino sia quello di generazioni a venire.
Il ruolo delle donne non si esaurisce in fase progettuale: certo le prime missioni sono affrontate da astronauti di sesso maschile ma, d’altro canto, perché una donna non dovrebbe volare verso lo spazio? Domanda abbastanza ovvia, che si sono poste le Mercury 13.
Nello specifico, il Mercury è il programma per spedire uomini nello spazio, lanciato dalla Nasa nel 1958. Le caratteristiche per accedervi sono precise: essere pilota collaudatore, avere all’attivo oltre 1500 ore di volo su un jet, non avere più 40 anni ed essere alti almeno 1 metro e 83, oltre a vantare doti di resistenza fisica e una bella laurea. Ed essere uomini, a quanto pare.
Almeno fino a che, agli inizi degli anni ‘60, le cose non cambiano e un gruppo di aviatrici prende parte all’addestramento degli astronauti che sarebbero stati poi scelti proprio per la missione: a iniziare, con la collaborazione del ricercatore William Randolph Lovelace, è Jerrie Cobb. E supera tutti i test. In seguito, sono invitate altre dodici aviatrici e nasce così il gruppo FLATs (First Lady Astronaut Trainees, ovvero le prime apprendiste astronaute).
Apprendiste o meno, la Cobb supera per prima tre delle fasi iniziali del processo di selezione le altre si preparano per fare altrettanto. Insorge tuttavia un problema: viene loro vietato l’accesso alla struttura medica gestita dalla Marina Militare, in quanto il progetto è classificato come “non ufficiale” e non approvato dalla NASA. Grazie e arrivederci, ma le donne qua dentro non possono entrare.
Dei 508 candidati al progetto Mercury, solo sette arrivano alla fine: i Mercury Seven e, con loro, la rivista Life stipula un’esclusiva per raccontare la loro vita e quella delle famiglie, mentre le apprendiste li guardano alla tv.
Piccola nota a margine: la prima donna ad andare nello spazio è Valentina Tereshkova, a 26 anni, ed è l’unica ad avere effettuato un volo spaziale in solitaria, nel 1963 (issiamo nuovamente la bandiera di Madre Russia). Per gli americani, dovremmo aspettare vent’anni, con viaggio di Sally Ride, nel 1983: senza fretta, Zio Sam.
Qui nel Bel Paese, il tricolore sventola tra gli astri solo nel 2014, con Samantha Cristoforetti: ci arriviamo a carburando lentamente, ma con un idolo.

Perché viaggiare nello spazio?

Terminata la corsa allo spazio tra USA e URSS, risulta forse ancora più lampante come l’idea non sia più quella di sfidare l’altro, bensì di sfidare i limiti dell’uomo stesso. Accade così qualcosa di simile a quanto avvenuto nello spronare le competizioni per sorvolare l’oceano, che hanno poi dato il via ai primi viaggi intercontinentali.
Questa sfida non è semplice edonismo, bensì racchiude appunto in sé lo sviluppo di tecnologie sofisticate, da applicare poi alla vita dei comuni mortali. Presente il velcro? È stato creato proprio per gli astronauti e per aiutare la loro permanenza in condizioni estreme.
La ricerca in microgravità ha inoltre coadiuvato progressi e innovazioni in campo medico: basti pensare agli studi sull’osteoporosi, nei quali è coinvolta in prima linea l’ISS. La sperimentazione farmaceutica in queste condizioni è infatti più semplice e, nel caso specifico, nello spazio un astronauta perde circa l’1,5% di massa ossea, la stessa percentuale di un anziano in un anno.
Il tutto senza mettere in secondo piano altre scoperte utilizzate nella vita di ogni giorno: la coperta termica spaziale che si gettano in spalla i maratoneti al termine della gara, l’aspirabriciole portatile, le protesi sempre più leggere, utilizzate anche dagli atleti paraolimpici, il giroscopio, un dispositivo che, dalla mole di una persona adulta, si è oggi trasformato in un sensore in grado di infilarsi in ogni smartphone.
E poi ci sono gli obiettivi prettamente scientifici, come la missione Rosetta, atterrata su una cometa per la prima volta per sondare più in profondità le origini del sistema solare, o gli studi sullo sfruttamento delle risorse, che ad esempio puntano a oro, alluminio e platino presenti sulla superficie lunare.
Infine, ma non certo per importanza, per quanto le ombre delle tensioni internazionali possano riflettersi sui piani delle agenzie spaziali, una cosa unisce lo spirito di gruppo e l’amicizia di uomini e donne a bordo della ISS: lo spirito di collaborazione pacifica, valori di eguaglianza e solidarietà assoluti.

Lo Spazio è la nostra ultima frontiera. È dove si mettono a punto ritrovati scientifico-tecnologici da impiegare sulla Terra. Lo Spazio è quindi il luogo per eccellenza in cui avventura umana e avventura scientifica si fondono in un tutt’uno e l’ambito in cui a ogni missione si sposta sempre più in avanti il limite della conoscenza umana. Forse il paradosso più grande di questa magnifica avventura è costituito dal fatto che lo Spazio ci proietta verso il futuro ma per farci capire meglio il nostro passato e da dove veniamo.

Maurizio Cheli, astronauta, per NASA - A Human Adventure

La risposta a tutte le domande

C’è un giorno preciso nella storia che nessuno può dimenticare, vissuto in diretta televisiva da 900 milioni di persone. In quel momento, nella notte tra il 20 e il 21 luglio 1969, la Rai vive una maratona di 28 ore, condotta da Tito Stagno, con l’inviato a Houston Ruggero Orlando, il commento di Andrea Barbato e, dietro le quinte, il cronista Gianni Bisiach. Mentre Neil Armstrong e Buzz Aldrin lasciano le proprie impronte sulla Luna (per un attimo lasciamo da parte Stanley Kubrick, ok?) il mondo era unito in un’unica, ecumenica e speranzosa prospettiva: la fine della Guerra Fredda e la collaborazione tra le superpotenze americana e sovietica.
In quel momento, insomma, un’utopia cessa di essere tale per trasformarsi in reale e, mai come allora, si è stati così vicini a un’idea di fratellanza, al di là delle barriere, politiche, culturali e persino fisiche: mai come allora si è stati tanto vicini a un’idea di pace.
Le idee astratte hanno però il difetto di essere facili da dimenticare, eppure è per questo che quel cielo infinito è ancora lì: perché dallo spazio dobbiamo ancora imparare e dovremo sempre ricordare quanto conquistato.

Qualcosa da leggere e da ascoltare:

Grazie a Roberta Boccomino (divulgatrice) e Alessandro Maistro (IT guru) per le consulenze!

Photos courtesy of NASA.

Samantha Colombo

Sono un'entusiasta delle parole per professione, etnomusicologa di formazione: scrivo, su carta e online, aiuto le persone a esprimersi attraverso la scrittura e navigo serena nella SEO editoriale. Un paio di cose su di me? Nell’anno della mia nascita, i Talking Heads pubblicano «Remain In Light» e la Cnn inaugura le trasmissioni.  Ho una newsletter, i Dispacci, e il mio primo romanzo è «Polvere e cenere».

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