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Un lavoro da donne, l’antologia musicale di Kim Gordon e Sinéad Gleeson

Curata da Kim Gordon e Sinéad Gleeson, Un lavoro da donne è un’antologia di saggi che approfondisce il lavoro femminile nella musica. E che fa sognare.

Articolo originariamente pubblicato nella mia newsletter Dispacci #61. Plurale femminile. Iscriviti per scoprire altre parole, storie, musiche.

È Un lavoro da donne, da strappare all’ombra.
Forse non esiste un’espressione più efficace per definire il rapporto — di tipo professionale, ludico, creativo — con la musica di diaforesi estatica, coniata da Margo Jefferson nel suo saggio presente in Un lavoro da donne. Il libro è «un’antologia dedicata a cantanti, giornaliste, compositrici, donne che hanno stabilito un rapporto radicale con la musica», come afferma Claudia Durastanti nella prefazione.
Nella raccolta, curata da Kim Gordon e Sinéad Gleeson, confluiscono fisicità e passione, studio e talento, bollette e ideali in una prospettiva che tributa la dovuta memoria alle donne che hanno costruito la storia della musica.
Emerge inoltre una riflessione interessante. Tutte le donne, descritte con lucida devozione dalle autrici dei testi, esprimono la perfetta dose di competenza e talento, qualcuna anche di sregolatezza, nonché un amore viscerale per la propria arte. Attraverso le loro vite e i loro gesti si definisce soprattutto una precisa lezione, un insieme di procedure, teorie e tecniche che col tempo si codificano, sedimentano e diventano patrimonio collettivo.

È il caso esemplare di Wendy Carlos. Quando è bambina, la famiglia non può permettersi di regalarle un pianoforte, così inizia a giocare con i tasti disegnati su un foglio di carta. E il suo genio non si quieta, anzi. Cresce e approccia l’uso del nastro nella musica elettroacustica, si muove impavida tra le sperimentazioni degli anni Sessanta. È il 1964 quando acquista il primo Moog, un prototipo che lo stesso creatore vorrebbe perfezionare. Collaborando poi con lo stesso Robert Moog, non solo sfodera un profondo talento compositivo, bensì corre oltre, piegando scienza e tecnica in nome delle possibilità espressive dello strumento. Carlos è compositrice, fonica e soprattutto ingegnera del suono. Si definisce «una musicista che parla la lingua della scienza» e il suo tocco sopravvive, ad esempio, in colonne sonore immortali come quelle di Arancia meccanica e Shining.

C’è anche la consapevolezza del proprio ruolo, nel lavoro e nella società, di Lucinda Williams, con la sua Fruits Of My Labor che si trasforma in un’eloquente preghiera, un invito che sembra anticipare di decenni il dibattito contemporaneo a tema work life balance, assecondando la realizzazione personale senza però trascurare sé stesse. E c’è Meghan Jasper, che per lunghi e intensi anni lavora in quel che definisce «il perenne fermento» della Sub Pop Records, un fermento che deflagrerà su tutte le terre emerse.

Tutto straordinario, eppure le protagoniste sono quasi sempre relegate ai margini del racconto, destino che colpisce in modo ancora più risoluto le artiste afroamericane e non occidentali.
Nello splendido Canti d’esilio, Fatima Bhutto dona nuova luce al rapporto con la musica di chi è costretto ad abbandonare la patria — la musica abbatte le barriere di spazio e tempo, ed è un veicolo identitario inossidabile — e ne approfitta per svelare la storia di Madam Noor Jehan, celebrità del cinema pakistano che intona canti di guerra in studi radiofonici vuoti, senza badare alle bombe che fischiano sopra la sua testa; oppure quella di Iqbal Bano, che interpreta i versi del poeta Faiz su nastri clandestini esportati in tutto il mondo, un grido contro la dittatura che esplode nei mangiacassette della diaspora. Bhutto prova inoltre a rispondere a una domanda fondamentale: «Perché le canzoni sono tanto minacciose per i dittatori?».

Sedici scrittrici, giornaliste, artiste tratteggiano un ritratto appassionato delle loro muse e frantumano le ombre sulle protagoniste della musica. C’è il giusto onore della memoria, c’è l’analisi attenta di un universo caleidoscopico, nella scenografia di tematiche che vanno dal folk caraibico all’identità razziale nella trap.
Nota a margine: l’etnomusicologo Alan Lomax è uno dei miei fari esistenziali, non sento tuttavia quasi mai nominare la sorella Bess Lomax, studiosa e musicista, membro degli Almanac. Ebbene, in queste pagine compare anche lei.

Un lavoro da donne è un’antologia di saggi curata da Kim Gordon e Sinéad Gleeson, con la traduzione di Chiara Veltri; è pubblicata da Sur.

Samantha Colombo

Sono un'entusiasta delle parole per professione, etnomusicologa di formazione: scrivo, su carta e online, aiuto le persone a esprimersi attraverso la scrittura e navigo serena nella SEO editoriale. Un paio di cose su di me? Nell’anno della mia nascita, i Talking Heads pubblicano «Remain In Light» e la Cnn inaugura le trasmissioni.  Ho una newsletter, i Dispacci, e il mio primo romanzo è «Polvere e cenere».

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